Angloamericani, Fascismo e Meridione
Intervista a Daniele Lembo di Giovanna Canzano
La resistenza agli ‘invasori’ angloamericani nel Sud d’Italia occupato, è una storia di cui non si era ancora sentito parlare né si è mai letto nei libri di storia, tu nel tuo ultimo lavoro ne parli ampiamente.
LEMBO - Una decina di anni fa, leggendo la rivista “Nuovo Fronte” mi imbattei nella recensione di un libro di un allora per me sconosciuto, Francesco Fatica. Il titolo del Libro era “Mezzogiorno e fascismo clandestino 1943/1945″. Dalla recensione si intuiva chiaramente che il volume narrava della attività di resistenza agli angloamericani nei territori del Sud Italia invaso. Credimi, la scoperta fu per me un trauma. Per anni mi avevano raccontato, in tutte le scuole di ogni ordine e grado, la favola bella degli Americani accolti come Liberatori, in ogni dove, da una folla acclamante e festante. Invece, adesso, questo sconosciuta Fatica narrava una realtà dei fatti completamente differente. Volli conoscere l’autore che da allora divenne per me solamente Ciccio (diminutivo di Francesco) e dopo qualche tempo presi parte a Napoli a convegno di Studi storici organizzato dall’ISSES avente come tema “Il dissenso clandestino 1943-1945 nelle regioni meridionali occupate dagli angloamericani”. Il mio interesse verso l’argomento andava via via crescendo. Mi resi conto che c’era una parte della ricerca storica completamente inesplorata perché negata per anni. Intrapresi così a lavorare per conto mio, a fare ricerche d’archivio ed intervistando i superstiti di quei fatti. Per anni erano stati intervistati i partigiani, adesso io mi ritrovavo ad intervistare altri tipi di partigiani: quelli che si erano opposti agli angloamericani non sempre solo perché animati da sentimenti fascisti ma anche solo perché semplici patrioti. Il libro di Fatica aveva un limite: era stato prodotto da chi quei fati li aveva vissuti in prima persona. Era pertanto un lavoro, anche se eccezionale, comunque di parte. Occorreva che nascesse un’opera che avesse il requisito della asettica ricerca scientifica e che trattasse della resistenza nei territori occupati. Nel 2004 è stato edito dalla Casa Editrice Maro di Copiano (PV) il mio volume “LA RESISTENZA FASCISTA - Fascisti ed agenti speciali dietro le linee - la rete Pignatelli e la resistenza fascista nell’Italia invasa dagli angloamericani ” Come detto, per la redazione del volume, oltre che consultare tutta la bibliografia esistente sull’argomento, mi sono avvalso delle testimonianze e di memoriali di alcuni di quelli che, considerando gli alleati invasori e non liberatori, continuarono a combatterli anche nell’Italia invasa, venendo per questo arrestati e processati. Il punto di forza del libro è costituito proprio da queste testimonianze che, assieme ad alcuni documenti inediti provenienti dal National Archives di Washington, costituiscono un vero e proprio elemento di novità sull’argomento. In particolare, il volume si articola in due parti. La prima di queste tratta delle attività resistenziali fasciste nelle varie regioni del Sud. La seconda parte del libro è dedicata proprio ai servizi segreti e agli agenti speciali della R.S.I., operanti nei territori invasi. In vista dell’invasione delle regioni meridionali, vi furono numerosi progetti militari tesi ad organizzare operazioni di stay behind. Tali progetti, prevedendo l’invasione della Penisola, venero approntati Regio Esercito, dalla Regia Marina e dal P.N.F. che costituì la “Guardia ai Labari.” Dalla Guardia ai Labari ebbe origine la “Rete Pignatelli”, una rete clandestina fascista operante al Sud, che o operò in Sicilia, Calabria, Puglia e Campania e che vide come propulsori il Principe Valerio Pignatelli di Val Cerchiara e sua moglie La “rete” fu un’organizzazione articolata ed efficiente con continui contatti con il territorio della R.S.I. e Pignatelli ed i suoi svolsero attività informativa, fornendo notizie di carattere militare e generale al Nord, e propagandistica al sud, ma non è detto che non abbiano anche svolto attività di sabotaggio e in casi particolari siano passati a vere e proprie azioni militari. Dal Governo della R.S.I - Repubblica Sociale - a Pignatelli, vennero inviati fondi. Inoltre, furono inviati al sud agenti speciali con il compito di strutturare meglio la Rete e fare da consiglieri militari. La seconda parte del libro “La resistenza fascista” è dedicata proprio ai servizi segreti e agli agenti speciali della R.S.I., operanti nei territori invasi. Per i contatti con la rete Pignatelli furono inviati uomini della Decima Mas, ma non dobbiamo dimenticare che al sud agirono uomini di altri servizi segreti della R.S.I., come quelli del Gruppo David di Tommaso David (e la sua più nota agente, Carla Costa), o dei Servizi speciali delle Forze Armate Repubblicane. Numerosi furono gli agenti speciali che, catturati in missione, furono passati per le armi dagli Alleati. Molte di queste catture furono possibili grazie ad un elenco degli agenti speciali italiani, in possesso dei servizi segreti Alleati. Reputo che “La Resistenza Fascista” sia uno dei miei libri meglio riusciti e mi lusinga riportare quanto scritto, a proposito, dal Prof. Giuseppe Parlato, Rettore dell’Università Pio V, nel suo libro “Fascisti Senza Mussolini. Scrive Parlato: “Recentemente è uscito un volume che raccoglie le informazioni sul fascismo clandestino al sud, corredandole di nuovi dati, Daniele lembo, già noto per aver pubblicato un interessante studio sui servizi segreti della R.S.I., ha cercato, in buona misura riuscendovi, di costruire un panorama completo del fenomeno e la ricerca si segnala per correttezza documentaria e per gli elementi innovativi che offre”. Pur lusingato dalle parole di Giuseppe Parlato debbo dire che, dall’avere un panorama completo del fenomeno siamo ben lontani.
Anni di menzogne e reticenze si frappongono al raggiungimento della verità. Il mio volume si chiude con un inquietante dubbio: “E’ probabile quindi che, nel dopoguerra, ci sia una continuità tra i servizi segreti americani ed alcuni personaggi o interi settori delle disciolte Forze Armate fasciste repubblicane e ciò nell’ambito “dell’attenzione americana all’espansione comunista”. Se proprio vogliamo far galoppare la fantasia, si potrebbe anche pensare che la Rete Pignatelli, individuata e disciolta nel corso del conflitto, sarà poi riammagliata negli anni successivi. Ma questa è solo un’ipotesi per sostenere la quale non ho nulla in mano se non la mia fantasia che è solita correre veloce”.
CANZANO - Le operazioni di Stay Behind organizzate dalla Decima Flottiglia Mas, nel corso della guerra nell’Italia occupata, come sono state inserite nell’intera occupazione della Penisola?
LEMBO - La Decima Flottiglia nacque, in seno alla Regia Marina, per operare alle spalle del nemico. Lo scopo della Flottiglia, originariamente, era quello trasportare propri uomini addestratissimi fino ai porti nemici. Il compito di questi uomini, che erano nuotatori d’assalto o i piloti dei siluri a lenta corsa, (i siluri erano meglio conosciuti come “Maiali”), era quello di sabotare il naviglio nemico alla fonda. Dopo l’8 settembre, Borghese alla Spezia, farà una sorta di trattato di alleanza con i tedeschi. I germanici volevano appropriarsi del Know how, ovvero del corredo di conoscenze tecnico scientifico in possesso della Decima nel campo della lotta subacquea, mentre Borghese voleva continuare a combattere avendo mano libera. Il Principe armerà poche unità navali, qualche silurante, qualche piccolo sommergibile tascabile, continuerà ad addestrare sabotatori subacquei, ma soprattutto armerà una Divisione di fanteria di Marina: la Divisione Decima.
CANZANO - Il Battaglione Nuotatori Paracadutisti, che era un Battaglione di sabotatori, è vero che fu alle dipendenze della Decima Flottiglia Mas Repubblicana di Junio Valerio Borghese.
LEMBO - Tra i reparti armati da Borghese vi fu il battaglione Nuotatori Paracadutisti meglio conosciuto come Battaglione N.P. . Originariamente il Battaglione doveva servire a compiti di sabotaggio, tant’è che a tutti gli appartenenti furono fatti seguire i corsi N.E.S.G.A.P. - Nuotatore Esploratore Sabotatore Guastatore Ardito Paracadutista. In realtà, poi, seguendo un’infausta usanza tutta italiana queste costosissime truppe (addestrare ai corsi NESGAP era molto oneroso) furono impiegate in ordinari compiti di fanteria.
CANZANO - Il Battaglione Vega che fu generato dal Battaglione Nuotatori Paracadutisti, era il ‘Deposito’ del Btg. N.P. ovvero il reparto dal quale il Battaglione principale avrebbe dovuto trarre il personale (i complementi) da inviare al fronte? Se questa era solo un’attività di copertura, cosa era in realtà il Battaglione Vega? Con la scoperta di Gladio, le ‘Operazioni Sorpasso’ negli anni successivi divennero famose con il nome inglese ‘Stay Behind’?
LEMBO - Il Battaglione N.P., in sostanza, ebbe una strutturazione organica dicotomica. In quanto, dal battaglione principale, che come detto voleva essere un battaglione di sabotatori incursori e poi fu impiegato come ordinaria fanteria, si articolò il Battaglione Vega. Il Vega aveva un compito di copertura che era quello di essere il Deposito del Battaglione principale, ovvero doveva di fornire i complementi, le sostituzioni di uomini al reparto di N.P. In realtà, gli uomini del Vega erano specialisti in azioni di guerra non ortodossa, sabotaggi, spionaggio ed “operazioni sorpasso” nei territori italiani invasi.
Cosa era un’Operazione sorpasso? In breve, il Vega lasciava uomini perfettamente equipaggiati nei territori dei quali si prevedeva l’occupazione. Una volta che questi territori fossero caduti nelle mani degli Angloamericani, questi uomini avrebbero eseguito azioni di attacco alle spalle del nemico con rapide puntate del tipo “mordi e fuggi”. Gli uomini del Vega potevano anche attraversare le linee per portarsi nei territori occupati e svolgere missioni informative, di sabotaggio e di appoggio e supporto a gruppi di patrioti ivi esistenti In vista della caduta finale il Vega articolò un ampio piano di stay behind in tutte le province del nord (Milano, Genova, Bologna, Modena, Torino, Venezia e Treviso) destinando in tutte queste città uomini armati ed equipaggiati, che si occultarono nel tessuto sociale aprendo bar, negozi di radiotecnici, ditte di trasporto ecc., nell’attesa che arrivassero gli Alleati per poi poterli attaccare alle spalle. Era in sostanza l’ultima operazione militare del Vega., operazione che, peraltro, non fu mai portata a compimento.
L’argomento è trattato molto bene e in maniera molto nel mio ultimo libro edito da qualche giorno dalla Edizioni MARO, dal titolo “LA GUERRA NEL DOPOGUERRA IN ITALIA LE OPERAZIONI DI STAY BEHIND DELLA DECIMA MAS NELL’ITALIA OCCUPATA, IN GUERRA E NEL DOPOGUERRA.LE VERITÀ, LE MEZZE VERITÀ E LE GRANDI BUFALE” CANZANO - Sull’operato del Battaglione c’è stato chi ha voluto vedere nel Vega l’inizio di Gladio e chi addirittura ha descritto la banda Giuliano come un’emanazione della Decima Mas, asserendo che il 1 giugno 1947, a Portella della Ginestra, a sparare c’erano anche quelli della Decima?
LEMBO - Negli anni seguenti al dopoguerra, sull’operato del Vega sono nati una serie di veri e propri miti. C’è stato chi ha voluto vedere nel Vega l’inizio dell’Organizzazione Gladio. Con la scoperta dell’Organizzazione Gladio, l’operazione sorpasso sarebbe divenuta meglio famosa come “stay behind”. A tal proposito, è bene precisare che non è esistita solo una Gladio Italiana ma ogni paese europeo, in ambito Nato ha ordito una proprio Gladio, sebbene con nomi diversi. Nell’immediato dopoguerra, chi arruolò i Gladiatori, li arruolò, chiaramente, in ambienti anticomunisti.
Vennero arruolati ex militari della R.S.I. ma anche partigiani bianchi e semplici patrioti. E’ normale che chi creava una struttura di Stay Behind, che doveva entrare in azione in caso di invasione russa del territorio nazionale, non poteva certo fare gli arruolamenti traendoli dalle file dei filocomunisti. Probabilmente, tra i gladiatori vi fu arruolato anche qualche ex N.P proveniente dal Vega, ma da qui ad affermare che il Vega si trasformò in Gladio ci vuole un bel coraggio. Da qualche tempo, poi, è ritornata a galla la storia che vorrebbe gli uomini della Decima, oltre che in contatto con la banda Giuliano, addirittura anche presenti a Portella delle Ginestre a sparare sulla folla che festeggiava il 1° maggio . A chi sostiene tali tesi, non posso che rispondere che la storia la si fa con i fatti e con i documenti. Se qualcuno dispone di documentazione che dimostri con chiarezza tale tesi, sia garbato, la tiri fuori e la faccia consultare anche agli altri studiosi. In caso contrario, debbo ricordare che una cosa è la Storia e un’altra è la novellistica.
CANZANO - Salvatore Giuliano, in cerca di legittimazione politica ed ideologica poteva avere interesse a contattare la Decima?
LEMBO - Salvatore Giuliano all’epoca era un latitante e, in una situazione come quella della Sicilia dell’epoca il confine tra la figura del delinquente e quella del patriota poteva essere labile e Giuliano ha sempre tentato di affermare la leggenda che egli fosse un uomo spinto dalle ingiustizie patite a fare quello che aveva fatto. Il bandito ha sempre provato ad acquisire agli occhi del popolo una fisionomia idealistica che giustificasse le sue gesta. Il contatto con le Forze armate fasciste avrebbe potuto fornirgli questo alibi morale, di contro le Forze Armate Repubblicane si sarebbero potute giovare di quell’alleanza per creare una quinta colonna alle spalle degli angloamericani.
CANZANO - Nel tuo ultimo saggio, oltre a trattare della Decima e del Vega, avvalendoti della vasta bibliografia esistente sull’argomento, di testimonianze, memoriali e di documenti d’archivio, smonti una serie di errate interpretazioni nate sull’attività della Decima nei territori occupati e nel dopoguerra, quale è la tua tesi a proposito?
LEMBO - In realtà da qualche tempo, dagli archivi americani del NARA sono sortiti fuori i documenti relativi agli interrogatori degli agenti degli N.P. catturati in Sud Italia dai servizi segreti Angloamericani. Da tali documenti si evince che una squadra del Vega Operò in Sicilia e che gli uomini di questa squadra si interessarono, e forse segnalarono al loro comando, dell’esistenza della banda Giuliano in Sicilia. E’ da chiarire, circa la veridicità di quegli interrogatori, che gli uomini del Vega, una volta catturati dietro le linee nemiche mentivano fino allo spasimo e, anche quando decidevano di ammettere qualche responsabilità, continuavano a mentire. Per loro, dire tutta la verità significava finire diritti alla fucilazione. Dai documenti relativi ai loro interrogatori, anche se i fatti narrati rispondessero al vero, si potrebbe evincere che gli agenti Vega in Sicilia dimostrarono un qualche interesse cognitivo, non dimentichiamoci che quegli uomini avevano anche compiti solo informativi, verso una banda armata che sicuramente poteva dare del filo da torcere agli angloamericani. Nulla però dimostra che ci furono reali contati tra gli uomini del Vega e quelli di Giuliano e, soprattutto, nulla dimostra che, qualora vi fossero stati tali contatti, questi portarono ad accordi tra la Decima e Giuliano Anche in questo caso di qui ad affermare che l’alleanza tra la Decima e Giuliano effettivamente ci fu, ce ne corre. Invece, c’è chi addirittura sostiene, senza prova alcuna certa prova documentale, che Salvatore Giuliano si sia addirittura trasferito al nord per arruolarsi nella Decima ed essere addestrato come agente speciale, dopodiché sarebbe ritornato in Sicilia dove avrebbe operato con la sua banda. La tesi è molta affascinante e buonissima per un film d’avventura, ma gli studi storici, come detto, si basano su fonti documentali, testimonianze e fatti concreti.
CANZANO - Nel tuo precedente lavoro ‘La resistenza Fascista’, ci parli dell’invio a Napoli da parte di Giuliano di suoi emissari per contattare la Rete Pignatelli ed offrire collaborazione e sostegno economico, come avvennero i contatti?
LEMBO - Circa i presunti rapporti tra Giuliano e la Decima c’è un “solido ” fatto che è tale da eliminare ogni dubbio. Che il bandito Giuliano abbia tentato di contattare La resistenza fascista al Sud, e quindi le Forze Armate della R.S.I., non è frutto di una semplice deduzione ma è un solido fatto. Nel mio libro “La resistenza fascista” ho riportato un brano tratto dal memoriale De Pascale, fornitomi dallo stesso De Pascale che fu uno degli elementi di punta della Rete Pignatelli, relativo all’invio a Napoli, da parte di Giuliano di suoi emissari per contattare la rete Pignatelli ed offrire collaborazione e sostegno economico.
Leggo testualmente dal mio libro: “La mancanza di fondi- scriverà il Pignatelli - ci fu presto contraria. Il sacrificio personale di mia moglie e mio non poteva sopperire che in minima parte al sempre crescente fabbisogno, specie per il blocco della nostra industria di legnami requisita dagli inglesi”(Cfr. Valerio Pignatelli, Il Caso Pace, cit., p. 33.) Gli aiuti economici promessi dalla R.S.I. alla principessa Pignatelli non arriveranno mai, o meglio, saranno spediti ma non giungeranno mai a Napoli. In quel periodo il servizio segreto angloamericano intercetterà due uomini ed una donna provenienti dal Nord, mentre stanno attraversando le linee. I tre sono i corrieri dei fondi promessi e recano con loro la somma di cinque milioni di lire. Saranno tutti e tre fucilati. “Ricevemmo segnalazione - scriverà Pignatelli - che ci erano stati spediti cinque milioni tramite una donna e due giovani. Dopo qualche tempo ci giunse notizia di una donna e due ragazzi catturati dagli inglesi, trovati in possesso di grosse somme e di radio trasmittente. Gli inglesi li avevano fucilati in Santa Maria Capua Vetere. Non erano riusciti a sapere a chi la somma e la radio erano destinati. Una segnalazione radio ricevuta da me verso la fine di gennaio 1944 mi dava indicazioni. Gloria alle tre vittime!” (Cfr. Valerio Pignatelli, Il Caso Pace, cit. p. 33.) In merito, è da riportare anche la testimonianza di De Pascale che, quando sarà arrestato di nuovo, si sentirà dire dal maggiore Pecorella che lo interroga: “Aspettavate denaro dai vostri padroni del nord?
Chiedetelo agli inglesi”. La possibilità di ottenere cospicui finanziamenti si presenterà per gli uomini dell’organizzazione fascista da una fonte quanto mai inaspettata. Una proposta in tal senso arriverà addirittura dal bandito siciliano Giuliano che invia a Napoli suoi emissari per contattare la centrale della “Rete Pignatelli”. “Vi fu ancora tra me e Ioele - racconterà l’architetto De Pascale nel suo memoriale - una situazione che influì sui nostri rapporti. Ioele chiedeva insistentemente che io incontrassi degli emissari del bandito siciliano Salvatore Giuliano che si trovavano a Napoli: mi volevano comunicare una certa disponibilità del loro capo ad appoggiare la nostra causa e, anche se occorreva, con aiuto in denaro.
Gli dissi che non intendevo fare certo sgarbo a queste persone, ma non potevamo essere fiancheggiati da un movimento palesemente fuorilegge e separatista. A certi principi morali e ideali non potevamo venire meno. Alcuni giorni dopo Rosario Ioele si presentò al mio studio accompagnato da due persone. (…) Egli mi presentò costoro, che mostravano modi cortesi e civili, Ioele mi disse che i “signori volevano conoscermi personalmente” e volevano avere una risposta su quanto lui aveva precedentemente proposto. Non esitai a dire, col dovuto garbo, che li ringraziavo della loro offerta e solidarietà ma non potevo accettarla per ragioni inerenti ai principi della nostra organizzazione. Costoro, in verità, furono corretti più di quanto io potessi aspettarmi.
Aggiunsero che la persona che loro rappresentavano, in caso di necessità o di nostro ripensamento, si sarebbe mostrato sempre disponibile ad aiutarci. Ioele non gradì la mia presa di posizione, come io non gradii la sua ingerenza nel mio campo d’azione. Sentivo d’aver fatto bene: la mia non era una presa di posizione contro Salvatore Giuliano, ma era il rispetto a un principio morale e organizzativo: gli angloamericani per conquistare la Sicilia si erano serviti del fecci ume della malavita e della camorra, cosa che noi detestammo e commentammo in modo decisamente negativo. Non potevamo usare noi la loro stessa arma, anche se Giuliano all’epoca era considerato solo un fuorilegge e, da un certo ambiente di propaganda giornalistica, era commentato sotto una luce in certo qual modo romantica”. Il tentativo di avvicinamento al fascismo clandestino fatto da Salvatore Giuliano è chiaro.
Egli sa che la “Rete Pignatelli” ha ramificazioni anche in Sicilia e cerca nuove alleanze per il suo movimento che non è solo una semplice attività delinquenziale. Bisogna chiedersi se tale esperimento di contatto con i fascisti, il capo banda siciliano lo faccia per proprio conto oppure per conto del movimento separatista. I due movimenti, quello separatista e quello fascista, sono tra loro ideologicamente incompatibili ed è quindi lecito pensare che Giuliano agisca autonomamente nella ricerca di alleanze o, ancora meglio, di una giustificazione ideologica al suo operato. Si tratta di un evento, questo, particolarmente interessante in quanto apre uno spiraglio di luce sui tanti misteri che circondano la figura di Salvatore Giuliano. Viene da chiedersi se il noto “bandito” prima di schierarsi con separatisti non abbia addirittura pensato di farlo con i fascisti.
Se ciò fosse, il rifiuto di De Pascale rappresenterebbe un erro decisivo. Giuliano è un combattente ed ha con lui uomini decisi alla lotta, ma più di ogni altra cosa, il cosiddetto “bandito” è un uomo che ha carisma e fascino da vendere, elementi questi che in una lotta ideologica contano forse quanto e più di cannoni e mitragliatrici. “Quindi, Giuliano tentò di contattare il clandestinismo fascista al sud, ma se Giuliano aveva il contatto degli uomini della Decima in Sicilia, o meglio se Giuliano era addirittura un uomo della Decima perché doveva mandare i suoi uomini a Napoli a contattare Antonio de Pascale e la rete Pignatelli? Come vedete, i conti non tornano. Infine, circa la tesi che vorrebbe gli uomini della Decima presenti a Portella delle Ginestre a sparare sulla folla adunata per festeggiare il 1° maggio, proprio qualche giorno fa è arrivata una clamorosa smentita.
Ha scritto Antonio Carioti in un suo articolo dal titolo “Portella la X° Mas non c’era” apparso sul Corriere della Sera del 7 Maggio 2007: “Questa versione dei fatti (la tesi che vorrebbe uomini del vega presente a Portela delle Ginestre n.d.a. ) incontra ora una smentita proveniente da un’istituzione non certo sospettabile di indulgenza verso il neofascismo. Si tratta della Fondazione Di Vittorio, che per il sessantesimo anniversario dell’eccidio, compiuto in Sicilia contro contadini inermi e le loro famiglie il 1° maggio 1947, non solo ha riproposto gli interventi sulla vicenda del dirigente comunista Girolamo Li Causi nel volume “Portella della Ginestra. La ricerca della verità“, ma ha raccolto le testimonianze filmate dei superstiti, curate dal regista Odino Artioli. Tra queste si trovano i racconti di due cugini, Vincenti di Noto e Francesco Di Giuseppe, i quali al momento della strage si trovavano sul cozzo del Dxuhait, da dove avrebbero sparato, secondo Casarrubea, (è uno degli studiosi sostiene la tesi che vorrebbe la Decima in contato con Giuliano n.d.a.) sicari neofascisti. Entrambi dichiarano che sul posto c’erano soltanto loro e che di là nessuno aprì il fuoco sulla folla inerme. Ciò ovviamente non smentisce la matrice politica della strage, senza dubbio voluta da ambienti reazionari e mafiosi legati al blocco agrario, ma solleva ulteriori dubbi sulla possibilità di ricondurla a un piano eversivo nazionale di matrice neofascista.
CANZANO - Nel tuo libro a proposito del Golpe Borghese dici: Il golpe Borghese fu un reale tentativo insurrezionale o una gigantesca bufala? Perché? E’ l’ultimo capitolo del mio libro sulla “Guerra nel dopoguerra in Italia”. La storia del Golpe Borghese non mi ha mai convinto. Non penso sia stato un vero tentativo insurrezionale, o meglio se lo è stato lo fu per chi ci credette, ma i veri organizzatori volevano ben altro che fare il Golpe. Anche di questo, come detto, tratto nel mio ultimo lavoro, ma se racconto tutto qui finisce che il libro non se lo compra nessuno e allora, se permetti.adesso sono stanco.
Note: Daniele Lembo, nasce nel 1961 a Minori (SA), in Costiera Amalfitana, e dopo la maturità liceale si è laureato in Scienze dell’Amministrazione e dell’Organizzazione. E’ pubblicista iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Lazio.
Monday, September 03, 2007
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