Thursday, December 28, 2006

IL FALLIMENTO DELLA RIFORMA MORATTI.
Tra facoltà inutili, cattedre triplicate e programmi aumentati la riforma dell'università si è dimostrata un vero pastrocchio utile solo per accontentare le clientele e le baronie. Il Pizzino, che si è già occupato dell'argomento, stavolta si limita a riportare un articolo a firma di Gian Antonio Stella che analizza perfettamente la situazione in cui versa l'istituzione universitaria.



Il caso della «Sapienza», un gigante con 200 «sedi» sparse in Italia Università, 37 corsi di laurea con un solo studente

Da Bologna a Moncrivello: i casi in tutta Italia. E il numero totale è raddoppiato in 5 anni

C'è un Robinson disperso su un'isoletta universitaria di Forlì che non ha neanche un Venerdì con cui parlare: è l'unico iscritto al corso di Scienze della mediazione linguistica. Ma con chi può mediare, se non c'è un selvaggio con cui aprir bocca? Una solitudine da incubo.
La stessa che deve provare l'unico iscritto a Scienze storiche a
Università La Sapienza di Roma (Internet)
Bologna e l'unico a Ingegneria industriale a Rende e l'unico a Scienze e tecnologie farmaceutiche a Camerino e insomma tutti i solitari frequentatori di 37 corsi universitari sparsi per la penisola. Avete letto bene: ci sono trentasette mini-facoltà con un solo studente. Poi ce ne sono dieci con 2 frequentatori, altre dieci con 3, altre quindici con 4, altre otto con cinque e altre ventitré con 6 giù giù fino a un totale di 323 «universitine» che non arrivano a 15 iscritti. Con alcune situazioni piuttosto curiose. Come quella di Termoli, che come patrono ha San Basso ma accademicamente vola alto: dal sito del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario si può apprendere infatti che i ragazzi della cittadina molisana che non si sentono predisposti ai viaggi, hanno a disposizione non una ma addirittura due possibilità di diventar dottori sotto casa. La prima viene loro offerta dalla facoltà di medicina e chirurgia dell'Ateneo del Molise (29 iscritti), la seconda dalla Cattolica del Sacro Cuore di Milano. La quale, invogliata dalle nuove normative, è salita ormai a 21 sedi diverse, posizionandosi anche in metropoli quali Guidonia Montecelio (32 iscritti a medicina), Pescopagano (33), Larino (37) e Moncrivello, ridente paesino in provincia di Vercelli con 1.477 abitanti, dei quali 14 decisi a diventare chirurghi, urologi o anestesisti. Un record da dedicare al santuario del Trompone, il cui nome ha una tale assonanza con certi professoroni universitari che il destino, diciamolo, era già prefigurato. Ma un record battuto, appunto, da Termoli. Dove gli iscritti a medicina, versante Cattolica, sono sei.
Meno male: tre maschi e tre femmine. Direte: quanto costeranno, certi atenei in miniatura? Valeva la pena di incoraggiare questa moltiplicazione di pani, pesci e cattedre finendo fatalmente per abbassare il livello medio degli insegnanti, visto che come nel calcio e nella lirica non ci sono abbastanza Totti e abbastanza Pavarotti per tutti gli stadi e tutti i teatri e occorre dunque ricorrere sempre più spesso a brocchi e ronzini? E' quanto cercheremo di spiegare. Partendo da alcuni numeri. Primo fra tutti quello delle università "storiche", italiane. Erano 27, figlie di una tradizione spesso secolare, e sono rimaste tali per un sacco di tempo. Salendo poi lentissimamente, dalla metà degli anni Cinquanta in avanti, fino ad arrivare alla fine del millennio a 41. Bene, da allora (c'è chi dice a causa delle scelte del ministro «rosso» Luigi Berlinguer e a causa di quelle del ministro «azzurro » Letizia Moratti) sono dilagate. Arrivando in una manciata di anni a 78. Più «ospiti» quali l'Università di Malta, più le «private» (sulle quali avremo modo di sorridere), più undici «telematiche» sulle quali esistono dettagli piuttosto curiosi da raccontare. Totale? Quelle col «bollino» sono 94. Ma il caos è ormai tale che la somma totale degli «atenei» veri o presunti (e meno male che qualcuno è stato burocraticamente raso al suolo da Fabio Mussi come quello fondato in una palazzina di Villa San Giovanni da un certo Francesco Ranieri che la dedicò al suo omonimo nonno) è ormai difficile da calcolare. «Evviva!», esulteranno certi liberisti nostrani: tante università, tanta concorrenza. Tanta concorrenza, tanta selezione. Tanta selezione, tante eccellenze. E' vero o no che lo stesso Salvatore Settis, acerrimo nemico della proliferazione, ha scritto che in America le cose chiamate «università» sono circa quattromila e dunque noi abbiamo ancora spazio per altre sei o settecento «atenei»? Verissimo, sulla carta. Non fosse per due dettagli sottolineati dal direttore della Normale di Pisa.
Il primo è che negli Stati Uniti chi non è all'altezza si arrangia: se trova studenti che pagano la retta per andarci bene, sennò chiude. Il secondo è che il titolo di studio, lì, non ha alcun valore legale: hai preso la laurea ad Harvard? Ti assumono tutti. L'hai presa in una pseudo- università allestita da un mestierante senza la biblioteca e senza laboratori e senza docenti di un certo livello? Non ti fila nessuno. Affari tuoi, se ti sei fatto imbrogliare. E non c'è concorso dove possa giocarti una laurea ridicola per accumulare punti in graduatoria e prenderti un posto immeritato. Qui è la prima contraddizione, denunciata da Francesco Giavazzi e Piero Ichino e Roberto Perotti e altri ancora: il via libera alla moltiplicazione degli atenei senza aver prima abolito il valore legale del titolo di studio è un errore fatale. Che toglie risorse, chiedendo una distribuzione a pioggia di stampo clientelare, alle università vere. Quelle serie. Sobrie. Spesso straordinarie. Che ci fanno onore in Italia e all'estero. Che hanno già levato alta la loro protesta. E oggi sono spesso costrette a mettersi in concorrenza coi furboni. E a cedere alla tentazione di aprire in città e paesi e borghi e contrade più o meno vicine nuove facoltà e nuovi corsi di laurea. Meglio: nuovi punti vendita. Basti pensare che questi corsi (per i quali non occorre l'autorizzazione ministeriale) erano 2.444 nel 2000/2001 e alla fine del 2005 erano già schizzati a 5.400. Numero destinato a un successivo incremento (più 861) nonostante, scrive l'ultimo rapporto del Miur, «le raccomandazioni a livello centrale di procedere a una semplificazione dell'offerta». E così, se le Università sono diventate 94, le facoltà sono cresciute fino a 610 e i dipartimenti fino a 1.864 e gli istituti a 319 e i «centri universitari» a vario titolo fino a 1.269. Fino a casi abnormi come quello della «Sapienza». Che da Roma ha alluvionato di sedi e «sedine» tutta l'Italia centrale fino ad avere oltre duecento (chissà se almeno il rettore conosce il numero esatto) indirizzi postali differenti. Dove sono stati coriandolizzati la bellezza di 341 corsi diversi: dall'infermieristica a Bracciano a logopedia ad Ariccia, dalle tecniche di laboratorio biomedico a Pozzilli all'architettura degli interni a Pomezia. Per un totale (professori ordinari e assistenti e ricercatori) di 4.766 docenti. Tutti bravi come Totti? Difficile da credere. Ma certo anche tra di loro c'è chi ama giocare. Come i docenti che hanno organizzato, tempo fa, un «corso di composizione floreale per imparare a realizzare decorazioni di Natale con rametti di pino, candele e bacche colorate». E poi dicono che l'Università italiana non punta sulle specializzazioni...

Wednesday, December 27, 2006


Monday, December 25, 2006

SESSANT'ANNI DI FUOCO DA UN'UNICA FIAMMA.
è l'aprile 1945 e la guerra è definitivamente perduta. I reduci, ormai esuli in patria, cercano di riparare nei conventi del centro Italia perchè la caccia al fascista è appena iniziata. A Roma è imposta la pace forzata ed è proprio nell'urbe che i vinti si ritrovano, la galleria Colonna (oggi galleria Alberto Sordi) diventa il luogo di incontro per poi andare a mangiare assieme. Poco dopo prendono vita i Far (fasci d'azione rivoluzionaria)che danno luogo ad azioni sensazionali come il blitz ad una stazione radio da cui trasmettono "Giovinezza". Intanto si avvicina il referendum per scegliere tra Monarchia e Repubblica e i fascisti, ancora non organizzati, si spaccano: alcuni reduci, memori del tradimento del Re e dell'esperienza nella Repubblica Sociale, optano per la repubblica; altri, temendo che la vittoria della repubblica potesse rafforzare il partito comunista, scelgono la Monarchia. Con la vittoria della repubblica, l'Italia si trova innanzi ad un altro bivio, si avvicinano le elezioni e la scelta è tra la Democrazia Cristiana e il comunismo.

Senonchè, il 26 dicembre 1946, nello studio del ragioniere Arturo Michelini di via Barberini, viene fondato il Movimento Sociale Italiano. I fascisti, che fino ad allora avevano rifiutato un sistema, quale quello democratico, che avversavano, giunsero ad un compromesso epocale: il motto è non restaurare, non rinnegare.

Il MSI degli inizi non raccoglie i consensi sperati, ma riesce negli anni, grazie agli accordi occasionali con i Monarchici, a riscuotere un discreto successo al Sud fino ad arrivare ad amministrare città come Napoli, Salerno, Catania e Taranto. Intanto Julius Evola forma i suoi discepoli, tra di questi vi è Pino Rauti. Con gli "spiritualisti" evoliani viene superato il fascismo storico e nasce un nuovo tipo neofascismo, vengono allargati gli orizzonti, si apre all'esperienza romena, est europea, scandinava. Evola ritiene che il fascismo non è stato altro se non l'ultimo interprete della Tradizione e che questa ritorna periodicamente nel tempo. Sono gli anni in cui all'interno del MSI c'è un grande dibattito interno tra l'ala sinistra e i propugnatori della svolta a Destra (tra questi vi è Adriano Romualdi).

Intanto Pino Rauti fuorisce dal MSI e dà vita al centro Studi Ordine Nuovo, al suo interno vi è anche Stefano delle Chiaie. Ma è con la segreteria Almirante nel '72 che il partito arriva alla svolta: il MSI diventa finalmente Destra Nazionale e apre definitivamente ai monarchici, ai conservatori, persino ai liberali. Sono, tuttavia, gli anni della contestazione studentesca e il MSI si spacca: da una parte ci sono i legalitari( tra questi vi è Caradonna), dall'altra i rivoluzionari che si riconoscono nella lotta studentesca. In seguito alla spaccatura per l'occupazione della facoltà di giurisprudenza di Roma, molti giovani escono dal MSI e si uniscono ai giovani di sinistra. Sono gli anni di "lotta di popolo", di Franco Freda, poi della ricostituzione di Avanguardia Nazionale (già sciolta alla fine degli anni '60), di Lotta Studentesca e ancora di Terza Posizione. Roma diviene l'epicentro del neofascismo italiano, Napoli interpreta un neofascismo di stampo reazionario sulla scia di Achille Lauro, a Milano nasce il fenomeno dei "sanbabilini".

Il MSI è il quarto partito italiano, ma è esautorato dal potere, ignorato dalle televisioni, diffamato dai giornali, la volontà di un quarto degli elettori italiani non è rispettata. Così Giorgio Almirante opta per una scelta radicale: prima sostiene Fini contro Marco Tarchi per la segreteria del Fronte della Gioventù, poi lo fa eleggere contro Pino Rauti - nel il congresso di Sorrento - presidente del partito. è la svolta: il partito è nelle mani delle seconde generazioni, quelle che non hanno mai vissuto il fascismo. Il giovane Fini saluta i giornalisti ancora a braccio teso, ma di lì a poco a Fiuggi dà vita ad Alleanza Nazionale, un nuovo partito che si riconosce nei "valori dell'antifascismo". è il 1995, è scissione: Pino Rauti non ci sta e fonda la Fiamma Tricolore.

Solo un anno dopo, esattamente 50 anni dopo quel 26 dicembre, anche se per poco, la Destra conosce il governo. Ci torna il 13 maggio 2001. I postfascisti devono dimostrare il loro spessore e di essere legittimati a governare, lo devono fare in virtù di quei valori per cui sono stati eletti, ossia i valori nazionali, tradizionali, sociali ed europeisti; ma Gianfranco Fini è colto da ebbrezza da profodità:definisce il fascismo il male assoluto, la Repubblica Sociale una parentesi indegna, Jurgen Habermas e Karl Popper divengono i pensatori di riferimento e Evola viene dannato, propone il voto agli immigrati, svolta sui temi etici proponendo di votare sì al referendum sulla procreazione assistita, esalta i valori del liberalesimo e del liberismo, azzera tutti gli organigrammi del partito a suo piacimento, elimina ogni oppositore interno, si circonda di yesman, propugna l'entrata nel partito popolare europeo, apre ai pacs.

Sessant'anni dopo del MSI non resta traccia nemmeno all'opposizione, lo scorso 9 e 10 aprile per la prima volta in Parlamento non è stato eletto nemmeno un parlamentare che si riallaccia espressamente a quella tradizione. Gianfranco Fini ritiene che celebrare l'anno di fondazione del MSI è un momento che non gli appartiene, Storace ha definito il MSI un partito da sempre antifascista (!?), Pino Rauti è solo l'ombra di quel rivoluzionario che negli anni 80 intuì le battaglie della nuova destra, solo l'ex repubblichino Giano Accame - durante la celebrazione della settimana scorsa - con i suoi 80 anni suonati ha parlato "giovane" ricevendo applausi meritati.
Oggi sono rimasti gli esuli in patria. Non sono più neo, nè post, nè vetero, sono popfascisti e come nel 1946 si sentono sbandati, non si riconoscono nelle istituzioni e sono tornati ai tempi dei Far, alla strada. Il popfascismo vive nel sociale e nella cultura, nello slancio dei singoli, nella forza di giovani, giammai in nostalgici, nè in restauratori, sempre in combattenti del sistema.

Domani farò una passeggiata sulle montagne, dal picco svetterà una bandiera, un semplice tricolore.

p.s. il presente post non costituisce un tentativo di ricostruzione della storia del MSI, è assolutamente impreciso ed incompleto nella sua essenzialità. é stato scritto alle 2 di notte, pertanto l'autore chiede venia e si cosparge il capo di cenere acogliendo con favore ogni integrazione, avvertendo però che nel blog è necessità la sintesi.

Wednesday, December 20, 2006



Ve lo auguro con impertinenza perché Il Pizzino non può farne senza,
ma sappiate che nel trambusto si fanno sempre con più gusto

Buon natale al Presidente che abbiamo sempre nella mente
Buon natale anche a Pier che si sente meno ben
Sempre una magra consolazione per l’amico mascalzone
che si è fatto male al calcagno per tirar un calcio a Gianfragno

Buon natale Fassino anche se festeggerà con brodino
Buon natale a D’Alema che dove si mangia non si fa mai problema
E buon natale anche a Mastella…che pensa al salto della quaglia
Ma intanto balla la tarantella con la moglie che sempre più ingioiella

Tanti auguri lamentosi li facciamo ai capitani coraggiosi
che si son fatti incastrare in un brutto malaffare
Li facciamo a Rutello che brinda con il Palombello
E si ruba un copione perché intanto non sa che dire.

Li facciamo anche a Diliberto che si consola con il libretto
Tanto nero e olivastro che compiace ogni mostro.
Tanti auguri alla Santanchè che è sempre tanto chic
E tanti auguri a La Russa che salta sempre nella fossa
E per fortuna c’è Alemanno che ci salva dal conguaglio

E buon natale anche i musulmani che a capodanno ci fanno batter le mani
con i fuochi siluranti fanno saltare tutti i lagnanti.
Buon natale agli israeliti che attendono ansiosi
i loro regali tanto chiccosi.

Tanti auguri a Monsoreau che è il nostro ambasciator
Tanti auguri a Starsandbàrs che inforca l'infedele
E tanti auguri al Sauro che scava nel sotterraneo
Tanti auguri anche a Gaetano che castiga ogni marrano
Non dimentico Lontana che posta senza sosta
E nemmeno ad Enrico che si muove in ogni dove.
Tanti anguri a Bisquì con cui la rima fa cin cin
Senza trucco e senza ingannoMonicà ti sorprende tutto l'anno
E mi si conceda questo assolo per Eleonora tutti in coro.
Tanti auguri a Simone che pare un fascistone
E buon natale anche a Reazionario dal suddista inquisitorio
E sempre ad Antonella cui dichiaro la mia guerra
Un pensiero a Pietrobravo che non fa mai il serio e che invito senza refuso a far un viaggetto nella terra di Vico
Tanti auguri comunisti a Riccà a agli antifascisti.
Tanti auguri anche al Mastro che si scontra con ogni impiastro.
Buon natale a Flavietta mia compagna e vittima diletta
Tanti auguri persino al Pizzino che è sempre birichino
Buon natale blogghettaro che stai sempre più arrabbiato perché il reddito è diminuito e stai sempre più rovinato.
Se aspettiamo un altro poco e la tassa ci sorpassa
questo governo ci sconquassa

Cari amici, io mi scuso se la rima è assai stonata e la lettura è affaticata
Ma è che l’aliquota è già salita e anche la strofa è usurata
Ma tranquilli, sta poesiola ritenetela già sparita,
Solo una preghiera snella snella prima che sia terminata:
se la nave lascia la scia, io spero che la befana Prodi si porti via!

Pizzì

Natale in casa Rutello.
Una finanziaria in tre atti di Eduardo Filippini.

Un padua di nome Schioppa occupa tutto il suo tempo per realizzare un presepio, ma quando chiede un parere a suo figlio Rutello, quest’ultimo ammette che non gli piace. Saranno per Schioppa parole molto amare quelle del figlio, ma che gli consentiranno di accorgersi che la realtà è molto più dura e difficoltosa di quella rappresentata nei presepi.

Frasi celebri: - ti piace il presepio?
- No, non mi piace il presepio

Antipacsismo militante. Ora e sempre, reticenza!

Al teatro di Palazzo Chigi: si replica fino a gennaio.

Monday, December 18, 2006












VIVA CASINI, l'ultimo baluardo della reazione!vuole tagliare la Destra, ma qualcuno l'ha già preceduto.

Quando Fini dichiarò di essere favorevole alla procreazione assistita e ammise che avrebbe votato sì al referendum sull'abrogazione della legge che egli stesso aveva contribuito a fare approvare pochi mesi prima (lex 40/2004), il partito sembrò volersi rivoltare. Passato il referendum, agli inizi di luglio si tenne l'assemblea dei quadri generali di Alleanza Nazionale. Durante la prima giornata di discussione il clima di nervosismo fu palpabile e Fini, sotto il fuoco incrociato dei liberali e dei sociali, fu in seria difficoltà: Alemanno si alzò in piedi attaccando Urso il quale si sbottonava per il capo, Storace abbandonò la discussione, i cattolici fecero approvare una mozione di sfiducia per il presidente, le ex correnti di Nuova Alleanza e Destra Sociale convergettero, La Russa e Gasparri si scontrarono.

Il giorno successivo tutto magicamente si riappacificò, il clima divenne idilliaco e il capo ne uscì addirittura rafforzato. Fu approvato un documento di due paginette in cui non si affermava nulla di nuovo e prevalse la linea Santanché: nulla da aggiungere, ma è tutto tanto chic! Solo uno ebbe il coraggio di chiedere esplicitamente le dimissioni di Gianfranco Fini e la convocazione immediata del congresso per eleggere Alemanno quale presidente, l'ex vicepres.della Camera Publio Fiori. Purtroppo il suo appello non ebbe gli effetti sperati e per coerenza abbandonò il partito. Altri cattolici lo seguirono, altri subirono ritorsioni da Fini in prossimità delle elezioni per aver messo in dubbio la sua leadership.

Ora a me di Casini non piace nulla, è un bricconcello che adora le marachelle e che si tinge di bianco i capelli per sembrar più saggio, ma democristianamente parlando non appare di ampie vedute. I più dicono che si è smarcato da Berlusconi, perché non ha i numeri per esserne l'erede, sostiene di voler rifare la Dc, ma dei vecchi democristiani ha ben poco; dichiara di aver intrapreso un'altra strada e vuole fare il terzo polo, ma di poli in Italia ce sono già troppi; vuole tagliare le ali, ma in Italia di ali a Destra non ce ne sono. La sua mossa sembra essere velleitaria, visto che in Italia il più a destra è lui e...masochisticamente rischia di tagliarsi. Vuole fare un funerale a chi è già morto. Egli è l'unico reazionario puro rimastoci a sud del monte bianco(democristiano anche lui!) che non strizza l'occhio alle lobbies progressiste, l'ultimo militante del partito antipacsista.


C'è, infatti, un abisso tra gli elettori dei partiti di destra italiana e i cooptati(scrivere elettii con questa legge elettorale è una parola grossa...ndr) in Parlamento, lo dimostrano le ultime dichiarazioni in materia di pacs ed eutanasia:
Berlusconi dice di voler lasciare la libertà di coscienza come fece in occasione del referendum - salvo poi cavalcare l'onda vittoriosa dei no...ndr - Gianfranco Fini ci ha regalato il bis aprendo alla sinistra, aggiungiamoci la tanto svampita quanto chic Santanchè oltre agli arzilli Enzo Raisi e Germontani, e avremo un quadro indicativo del divario che esiste tra il popolo della destra e gli onorevoli dipendenti che lo rappresentano . Nello statuto nel vecchio MSI c'era una disposizione che imponeva a chi aderisse al partito di condividere le posizioni ufficiali sui temi etici, ora può spuntare una Giulia Buongiorno qualsiasi - onorevole che non esita a definirsi di centro e cooptata da Gianfranco Fini in persona - che sostenga esserci un vuoto legislativo da colmare e si apre la caccia a chi la spara più grossa.

Quel che sembra lapalissiano è come non ci sia la volontà politica per abbattere questo governo, tanto che - non appena le sinistre sono in difficoltà - ci pensa qualcuno dell'opposizione a soccorrerle che esprime posizioni non condivise dagli elettori della CdL se non da un'esigua minoranza irrilevante.


Per questo, nonostante mi venga il voltastomaco ogni volta che sento parlare un democristiano parlare, auspico tanto che il progetto di Casini riesca e, se vuole tagliare le ali per stare sempre al centro, poco importa: noi non moriremo democristiani, siamo già zombie!






Il 18 dicembre di 74 anni fa veniva fondata Littoria.

Cameriere, champagne!
Prodi prende ordini da Israele: Olmert gli suggerisce cosa dire, il cameriere ripete:pappagallo! http://www.infolive.tv/web_chapter.php?num=1882&content=7.

Saturday, December 16, 2006










Il nemico dell'occidente non è l'Islam, ma il Liberal-bolscevismo.
Restiamo in piedi sulle rovine contro i veri barbari e i nemici della tradizione.

L'Inghilterra, pioniera di liberismo e oclocrazia, ha iniziato già da qualche anno a vietare che nelle cartoline d'auguri natalizie figuri qualsiasi riferimento alla Sacra Famiglia. La moda si è diffusa subito a macchia d'olio oltre la Manica arrivando a lambire anche l'Italia, tanto che in Trentino solerti maestrine hanno eliminato "tu scendi dalle stelle" dai canti natalizi. Successivamente è toccato ai commercianti farsi valere in nome dei principi del sacro stato laico (?!)eliminando i presepi dalla merci sostenendo che non vendessero abbastanza. Persino gli zampognari accorrono più di rado nelle città illuminate: non conviene più!

All'adozioni di siffatti provvedimenti la motivazione ufficiale è che "non si vogliono urtare le sensibilità dei musulmani", ma in realtà è una balla colossale:

1)I musulmani credono in Gesù quale profeta e, al contrario di quello che si vuole far credere, rispettano la religione. Ciò che non va davvero loro giù - così come a me - è una società in cui le uniche divinità riconosciute riguardano i disvalori del globalismo, il velinismo, la commercializzazione delle persone.

2) Se davvero non si volessero urtare certe sensibilità, perchè non adottiamo una scelta radicale abolendo in definitiva il Natale? Sarebbe una scelta coerente.

La verità è ben diversa: è l'onda laicista, l'internazionale libertaria e bolscevica, in sintesi l'establishment oclocratico che non perde occasione per attaccare qualsiasi valore tradizionale. Ciò, tuttavia, senza rinunciare ai sacri affari e al business del Natale. I regali, i viaggetti, le spesette folli, le magnate sono diritti indisponibili, valori irrunciabili per gli olocratici, tanto che hanno sì mantenuto un periodo vacanziero, ma rimpiendolo di ogni sentimento laicisticamente deificato e culturalmente demitizzato.

Una civiltà dev'essere animata da una vera e propria religione civile e non semplicemente governata da una forma di civilizzazione, che attiene piuttosto alla sfera dei mezzi, come la tecnica, il benessere e l'economia. L'equivoco dell'islamofascismo e la psicosi del terrorismo, l'ascesa di Ratzinger, il protagonismo dei teocon e degli atei cristiani, la marea montante degli incivili di ritorno nella barbarie benestante dell'Occidente. La civiltà invecchia e noi, i suoi abitanti, torniamo bambini, viviamo egocentrici secondo capricci e senza limitazioni, in un gioco cieco e circolare. La smania di godere a ogni costo e la pulsione autodistruttiva si alleano e generano la tentazione di lasciarsi vivere. Siamo stanchi di inventare e di costruire, l'infantilismo ci invecchia senza renderci maturi, il piacere ci affatica più del lavoro, la libertà ci stressa più della schiavitù, abbiamo tanti desideri ma poche speranze.

Così prevale la stanchezza della modernità e il vago desiderio di barbara innocenza. La civiltà europea e occidentale è oggi a un punto di svolta che somiglia a un inizio: non deve ingannarsi additando un nemico esterno e assoluto, distraendosi così dai suoi mali interni, numerosi e molto pericolosi. Al contrario, è necessario un nuovo atto di fondazione, insieme rivoluzionario e tradizionale, capace di ridonare all'Europa il suo volto, la sua storia e la sua vocazione al futuro.

Marcello Veneziani ha recentemente scritto "Contro i barbari. La civiltà e i suoi nemici, interni ed esterni" in cui si sostiene che la nostra civiltà non ha oggi solo un nemico, ma due. Uno, esterno e aggressivo, si identifica con il fanatismo islamico. L'altro, interno e dissolutivo, con il piacere della decadenza, il nichilismo, la distruzione di tradizioni ed esperienze millenarie. Uno vorrebbe annientarci, l'altro ci dissolve nel niente. I tiranni di fuori, i vigliacchi di dentro, barbari entrambi. Reagire a questa doppia minaccia è urgente, ma come fare? Veneziani cerca di fornire una risposta ambiziosamente polemica all'attuale sfida dello "scontro di inciviltà". Una risposta che affonda le sue radici nella tradizione occidentale, e che sostiene la necessità di un "patriottismo di civiltà.

Per questo - contro la sottocultura eterofoba, pacstista, liberalmaoista e criptosionista - raccolgo con piacere l'iniziativa del sito
http://www.natalesiamonoi.it, invitando tutti i fratelli e le semplici persone di buon senso a inserire il lì indicato bannerino:

Un presepe in ogni sito

DAJE PAOLè!

Di Canio
Di Canio dichiara alla stampa inglese: “Sono fascista e allora”?

Di Canio dichiara alla stampa inglese: “sono fascista e allora”? Di Canio: “Sono fascista. E allora?”
12 12 2006 In un’intervista rilasciata al magazine inglese “FourFourTwo”, Paolo Di Canio ha dichiarato di essere “fascista”. “Sì, sono fascista. E allora? Siamo nel 2006, le leggi razziali non esistono più grazie a Dio - ha detto Di Canio - Non vedo perchè l’idea sociale di una destra radicale non possa essere espressa in modo democratico”.

Friday, December 15, 2006

Quegli antifascisti che quarant’anni fa rispettavano l’onore dei vinti
di Giano Accame

Porto, sui dibattiti che continuano a sollevare i libri di Giampaolo Pansa e sulla riproposizione isterica, in pieno Duemila, delle polemiche tra fascismo e antifascismo, un ricordo personale. Nel maggio del 1964 Randolfo Pacciardi, che aveva comandato in Spagna il battaglione di esuli antifascisti Garibaldi ed era poi stato, come esponente del Partito repubblicano, vicepresidente del Consiglio e ministro della Difesa con De Gasperi nei governi della ricostruzione, in un discorso a Roma all’Adriano aveva colto i primi segni di crisi del sistema che avrebbero portato una trentina d’anni dopo a Tangentopoli e aveva lanciato un movimento trasversale di proposta e di protesta: l’Unione democratica per la Nuova Repubblica. L’ispirazione era di tipo gollista: una Repubblica presidenziale, capace di superare, come era avvenuto poco prima in Francia, le inefficienze della partitocrazia. Pacciardi, grande anima democratica, sosteneva che democrazia è governo di popolo, non impotenza istituzionalizzata; e che in un sistema dove i governi duravano in media meno di un anno occorreva rafforzare il potere esecutivo, assegnandogli i tempi tecnici necessari per eseguire un programma. Nel suo discorso mi aveva colpito anche l’appello a non far più pesare sulle generazioni del Duemila i temi e i rancori del fascismo e dell’antifascismo, che avevano marcato la prima metà del Novecento.

Il giorno dopo, amici comuni mi portarono da lui per una conversazione al termine della quale Pacciardi mi propose la direzione del suo settimanale. L’intesa subito sorta tra noi era evidente, ma mi trattenne uno scrupolo e lo dissi: non me la sentivo di firmare un giornale in cui fossero comparse espressioni offensive contro il fascismo. Al che Pacciardi fece l’offeso: sapeva chi ero e non mi aveva offerto di collaborare con lui per poi infliggermi delle umiliazioni: «I combattenti» disse, «sono generosi e finita una guerra si stringono la mano, pronti a affrontare insieme i problemi del domani».

Da allora nel microcosmo di Nuova Repubblica ci siamo voluti bene e reciprocamente rispettati nella base comune di un forte sentimento nazionale. Quella è stata la mia scuola di democrazia: appresa da gente che aveva combattuto per la libertà senza far pesare né a me, né ai tanti giovani (da Franco Ficarelli a Enzo Maria Dantini a Lamberto Roch a Franco Papitto a Ugo Gaudenzi e tanti altri) che vennero da destra, i toni sgradevoli di un antifascismo livoroso. Strinsi la mano di Delfini senza unghie, torturato dalla polizia fascista per aver progettato un attentato a Mussolini; divenni grande amico di Giorgio Braccialarghe, che aveva comandato gli arditi del battaglione Garibaldi, firmato a Ventotene il manifesto europeista di Altero Spinelli e meritato una medaglia d’argento nella Resistenza); di Tomaso Smith, il direttore de Il Paese filocomunista, già eletto senatore con i comunisti e uscito dopo i fatti d’Ungheria; di Mario Vinciguerra, intellettuale azionista che aveva trascorso quattordici anni tra le prigioni e il confino fascista; di Gastone Boni di Cesena, partigiano che come suo primo processo di giovane avvocato difese un compagno di scuola della Decima Mas; della medaglia d’oro della Resistenza Edgardo Sogno e tanti altri, che non disprezzavano la scelta che avevo fatto io aderendo alla Repubblica sociale. E non perché allora avessi solo sedici anni. Perché dalla mia parte come dalla loro c’era anche gente anziana intelligente, anzi geniale, e rispettabile: Gentile, Marinetti, Pound, fra Ginepro, per ricordarne appena qualcuno.

Era chiaro per tutti noi che ci voleva poco (un insulto, un parente, il ricordo di un caduto, un maestro, una lettura, un momento d’entusiasmo) per finire o da una parte o dall’altra; ed eravamo d’accordo che scelte generose, disinteressate, rischiose, coraggiose, da qualunque parte fatte nella drammatica storia del primo Novecento andassero apprezzate come prove di carattere e messe tutte insieme all’attivo per un miglior futuro italiano.

Una memoria in cui naturalmente ognuno tenga alle proprie scelte, ma sappia rispettare anche quelle dell’altra parte, tra di noi è stata possibile: eppure non eravamo gente fredda, che si era imboscata, ma tutti da qualche parte volontari, che avevano rischiato o erano pronti a farlo, compresi i giovanissimi che si sarebbero trovati di lì a poco coinvolti negli anni di piombo. Tuttavia, per non farla troppo semplice, per non tracciare un quadro troppo zuccheroso, devo pure notare che a me quasi nessuno rivolse accuse di tradimento, mentre intorno a Pacciardi - personaggio storico dell’antifascismo più di La Malfa che collaborava alla Treccani, più di Giorgio Bocca che scriveva articoli antisemiti - corsero velenose insinuazioni di fascismo e il suo nome scomparve dalle rievocazioni della Rai-Tv sulla guerra di Spagna. E tutti insieme venimmo bersagliati da accuse di golpismo. C’è gente che campa di bile sulle divisioni del Paese e non sopporta che possano essere superate col tempo e soprattutto col cuore.

In conclusione: i temi di allora non sono più attuali. Sul nostro orizzonte non ci sono più imperi da conquistare o difendere, né dittature a cui opporsi. Restano le vanterie e i rancori di chi, essendosi gonfiato dalla parte vincente di retorica e di qualche più volgare vantaggio, teme che il ricordo delle zone oscure su cui Pansa ha proiettato luce, dei tanti morti dell’altra parte che dai suoi libri stanno ora emergendo per chiedere non vendetta, ma rispetto, riflessione, un segno della croce, possa impoverire anziché arricchire la storia dell’eroismo, della dedizione, della generosità che gli italiani seppero dimostrare anche nel dramma della guerra civile. È una contabilità dalla grettezza cretina e ormai condivisa da pochi quella secondo cui gli eroismi e i sacrifici di una parte dovrebbero elidere quelli dell’altra. Quelle capacità di dedizione all’idea di libertà, di giustizia sociale, di rispetto delle differenze razziali o religiose, di grandezza nazionale, d’onore e fedeltà alla parola data, alle alleanze, che si contrapposero anche se nell’animo di tanti erano valori comuni, sono un patrimonio da sommare, come ricchezza storica, genetica, caratteriale del popolo italiano. Capire che in una guerra civile ci sono stati anche gli altri - e che per tanti aspetti i coraggiosi di una parte e dell’altra si assomigliavano - accresce il significato reale di quella storia, la rende più autentica, meno retorica, meno artificiale, più vera. E dopo i libri di Pansa, che hanno avuto l’indiscutibile merito di far riemergere dall’oblio e quindi dalla falsificazione ufficiale le decine di migliaia di vittime dell’altra parte (ora dall’Archivio di Stato Aldo G. Ricci suggerisce altre fonti per la ricerca), occorre fare semmai qualche passo avanti e ricuperare di questi italiani uccisi e dimenticati anche le passioni, i pensieri, i moventi, le idee. Come hanno fatto tanti altri libri a cui è troppo spesso mancato il meritato successo e stanno facendo libri recenti di cui converrà riparlare. Penso al saggio del giovane Alessio Aschelter, Intransigenti e moderati a Salò. I casi di Borsani e Farinacci (Soc. Ed. Barbarossa), dove si documenta un appassionante contrasto di idee nella Repubblica sociale tra due personaggi di spicco che ci hanno infine lasciato la vita. E alla recentissima riedizione di un testo prezioso di Nicola Rao, La fiamma e la celtica (Sperling & Kupfer), su sessant’anni di neofascismo da Salò ai centri sociali di destra, che è indispensabile complemento a Cuori neri di Luca Telese. Ma penso anche alle riflessioni di chi si è esposto dall’altra parte nella miniguerra civile degli anni di piombo. Un confronto anche questo necessario tra generazioni per cui le idee sono state sangue proprio e degli avversari, come spesso avviene nella pesante macina della storia.

Credo si debba riconoscere ai nostri passati avversari dell’ultrasinistra, ora che anche quella piccola guerra civile è finita se non per gli ultimi ubriachi del sabato sera, che due secoli di cultura delle rivoluzioni (francese, liberalnazionale del 1848, d’ottobre, maoista, cubana, sessantottina e chi più ne ha più ne metta) di cui siamo stati tutti nutriti dalle elementari sino agli studi universitari non potevano terminare senza che i più animosi ci provassero persino oltre le rivolte di Berlino, d’Ungheria, oltre il rogo di Jan Palach, sino al giorno prima che a Berlino cadesse il Muro e a Mosca l’Unione Sovietica.

Dedicata alla senatrice neomelodica Franca Rame


LA SINCERITA' NE LI COMIZZI

Er deputato, a dilla fra de noi,
ar comizzio ciagnede contro voja,
tanto ch'a me me disse: -- Oh Dio che noja!--,
Me lo disse: è verissimo, ma poi

sai come principiò? Dice: -- È con gioja
che vengo, o cittadini in mezzo a voi,
per onorà li martiri e l'eroi,
vittime der pontefice e der boja!--

E, lì, rimise fòra l'ideali,
li schiavi, li tiranni, le catene,
li re, li preti, l'anticlericali...

Eppoi parlò de li principî sui:
e allora pianse: pianse così bene
che quasi ce rideva puro lui!

(Trilussa 1920)

Thursday, December 14, 2006

Povero Romano, i teppisti ti seguono ovunque:questi sono tutti matti!

Ho letto commosso la lettera che il nostro amato Premier ha inviato al Quotidiano Nazionale sdegnandosi per le offese e i fischi ricevuti da una claque organizzata durante la sua visita al Motor Show di Bologna. Questi teppisti, verosimilmente stipendiati da Berlusconi in persona, ovunque Prodi vada, lo seguono per provocarlo. Già il 19 ottobre scorso, durante la messa del Papa allo stadio Bentegodi di Verona, gli stessi teppisti tributarono a Prodi la stessa vergognosa, inaccetabile,becera e fascista accoglienza, riservando invece tutti gli applausi a Silvio Berlusconi. Da allora questo gruppo di facinorosi si reca ovunque sia il premier. C'è in verità qualche digressione per fischiare a Mirafiori i segretari generali di Cgil,Csl e Uil e all'università per contestare il ministro Bersani, ma il vero obiettivo è Romano. Lo scorso due dicembre una sparuta minoranza di picchiatori e di briganti ha addirittura protestato per le strade, limitandosi esclusivamente ad offendere senza avanzare nessuna proposta. Il realtà la situazione in Italia è ben diversa e i consensi all'esecutivo non fanno che aumentare, perchè la gente ha capito il senso della missione che sta realizzando Romano. Lo dimostrano i fatti:

1) Tutte le comunità omosessuali sono gaie come non mai in attesa che i privilegi previsti per loro siano dopo Natale approvati e che i forti incentivi per diventare froci siano una realtà. Grillini è tutto un fremito e gira saltellando con addosso un cartello elettorale con scritto "la serietà al governo".

2) Tutti gli operai, i ricercatori, i liberi professionisti hanno finalmente un punto in comune e non vedono tutti l'ora che qualcosa si muova.

3) Caruso e Haidi Giuliani si sono volontariamente rinchiusi in un CPT e non in un comune carcere, visto il problema dell'affollamento.

4) Tutti i beneficiari dell'indulto non appena usciti,hanno ripreso subito la loro attività, visto che gli appartamenti di chi era andato a protestare erano vuoti.

5) Le forze dell'ordine hanno addiritura provato l'ebbrezza di manifestare per la prima volta per ringranziarti dell'aumento di stipendio di 5 euro a loro concesso.

6) Tutti gli ex terroristi rossi rimasti hanno finalmente trovato il posto fisso. L'ultima della serie è l'assassina Susanna Ronconi che è ora alla Consulta sulle tossicodipendenze per volontà del ministro Ferrero

7) Tutti i pensionati che, se non Berlusconi non arrivavano alla famosa quarta settimana, ora non arrivano nemmeno alla prima.

8) Tutti pagheranno indistintamente più tasse in nome di una società equa e solidale per stipendiare a dovere tutti i ministri,i sottosegretari, i consulenti, i bortaborse, i vice-vice-ma-de-che-non-si-sa che reggono l'apparato di consenso.

9) Per la guerra in Libano votata anche dai pacifisti di sempre.

10) Per il provvedimento amministrativo riguardante l'aumento dei quantitativi minimi sulle droghe leggere emanato da un ministro che di nome fa Turco e...di fatto pure.

Monday, December 11, 2006

L’uomo che mise a nudo un mondo in maschera
Settant’anni fa moriva Luigi Pirandello, il più grande drammaturgo moderno, l’ultimo filosofo greco, premio nobel, fascista

Settant’anni fa, il 10 dicembre, moriva Luigi Pirandello. Aveva rivoluzionato il teatro e inchiodato senza pietà la società borghese alla sua mediocrità indecente smascherandone tutte le ipocrisie.

Antidemocratico da sempre, firmatario del manifesto degli intellettuali fascisti, Pirandello si era iscritto al PNF durante la crisi dell’affare Matteotti. Eretico tra gli eretici, non ostentava mai il distintivo. Lo mise all’occhiello il giorno in cui ritirò il premio nobel per la letteratura nel 1934, intendendo così dare uno schiaffo sonoro alle pretese intellettualistiche dell’antifascismo salottiero e narcisistico.

Pregno di spirito ellenico e di filosofia greca, questo figlio di Agrigento è indiscutibilmente il principale drammaturgo moderno. Praticamente tutte le sue commedie sono capolavori. L’opera omnia teatrale è raccolta sotto il titolo “Maschere Nude”. Ma anche le novelle e i romanzi di Pirandello sono di primissima qualità.

La rifondarola Bignardi riesce ad essere più faziosa di Santoro.

Vai qui per video presentazione:
http://metadestra.altervista.org/radio/?p=22">

N.B. Per guardare il video della puntata, andare al link su riportato e poi cliccare sul video.
Il precedente:a Daria Bignardi la destra proprio non piace e, tuttavia, nulla fa per nasconderlo. L'anno scorso, in piena campagna elettorale, chiese al candidato a sindaco di Roma, Gianni Alemanno, di mostrare la croce celtica che portava a collo. Alla reiterata provocazione della conduttrice, Alemanno mostrò la croce specificando che era un regalo di un ragazzo di destra ucciso(Paolo Di Nella,ndr), si congedò dalla conduttrice con il saluto legionario e abbandonò gli studi televisivi. Da allora, la Bignardi non perde occasione per citare Alemanno.

Si inzia con Daria Bignardi che presenta i suoi tre ospiti. Nocla Rao, autore de “La fiamma e la celtica”, e due “testimoni del tempo, uno di destra e una di sinistra. La conduttrice de Le Invasioni Barbariche sta dicendo, con uno dei suoi sorrisi: “Ecco Simona Ercolani, autrice tv, ex militante della Fgci….”.La Ercolani interrompe subito la Bignandi ridendo, e indicando il terzo ospite scuote la testa, e fa una faccia preoccupata: “Ho paura (guarda l’uomo che ha di fornte, Roberto Fiore, leader di Forza Nuova).
Allora la Bignardi chiede: “Lei ha paura di Fiore? Eh sì, un pò anche io, facciamo finta di niente…”
La Ercolani continua, un po’ imbarazzata: “Fa un pò impressione, giuro, giuro…. è la verità”.
Bignardi: “Facciamo il salotto chic! Dai, facciamo finta di niente…”.

Saturday, December 09, 2006




Qualcuno svegli la commissione di vigilanza Rai!
Santoro, Augias e Dandini sono la dimostrazione che il regime c'è.

1) Una sanguinaria orda barbarica armata di panini e cestini ha invaso sabato scorso il centro della capitale. Un'informe massa protozoica composta da nobildonne impellicciate, montagnari affamati, evasori provenienti dai paradisi fiscali e fascistoidi pronti a violentare le prime pulzelle inermi che passavano si è data appena una settimana fa appuntamento nella storica piazza della sinistra romana. Per questo, come ad ogni cane da guardia che si rispetti, deve essere sembrata un'inaccetabile provocazione per il compagno Santoro vedere il suo territorio invaso da un popolo a lui sconosciuto, tanto che la scorsa puntata di "AnnoZero" è stata interamente dedicata ai manifestanti di piazza San Giovanni: si è iniziato estrapolando una frase dal discorso("guerrieri di libertà") di Silvio da Arcore, il capo dei barbari, poi è iniziato lo show: c'è la vecchietta che ricorda i rastrellamenti perpetrati dai nazisti, il pensionato Cgil che si commuove al ricordo di piazza San Giovanni gremita dal "popolo della democrazia" per i funerali di Berlinguer, la giovane precaria e l'invalida civile vittime entrambe del regime berlusconiano. è iniziata, quindi, il tour alla scoperta delle tipologie di guerriero della libertà:

A)c'è il gruppo di signore milanesi che dichiara di amare il capo perchè Silvio è Silvio; c'è il giovane forzista un po' gaio che millanta amicizie in alti ambienti e addirittura confidenze con il capo, c'è il pensionato svampito lì perchè gli avevano dato il cestino e il grande manager che evade le tasse.

B)di conseguenza tocca ai truci fascisti i quali non fanno crescere più l'erba dove passano: c'è lo skinhead pugliese che tracima orecchiette e broccoli da tutti i pori, c'è il giovane rasato che dice di avere come unico valore la patria e poi ride come un idiota, ci sono i nostalgici che fanno partire il braccetto teso come una molla.

Un bel quadretto non c'è che dire. Santoro, da grande professionista qual è, ha trovato giusto denunciare la situazione di emergenza democratica che vive il nostro paese e l'ha fatto anche grazie alla grande squadra di cui si circonda: Travaglio sostiene che, se in piazza c'erano 2 milioni di persone, i restanti 56 erano a casa perchè sono con il governo Prodi; la israeliana fintopalestinese(perchè è più trendy...) Rula Jabreal - meglio nota come "gnocca senza testa" - è convinta di fare domande scomode ad uno dei barbari intervenuti(tal Sandro Bondì) e malcela la sua fierezza; la principessina Beatrice Borromeo muove l'aria pronunciando parole a noi incomprensibili, ma fa tanta tenerezza lo stesso.

Peccato, però, che i barbari non erano come quelli descritti da Santoro: di cestini simil CGIL non se ne sono visti, c'erano invece tanti siciliani che si sono fatti - tra andata e ritorno - più di 2 giorni di viaggio in pullman per essere a San Giovanni; c'erano studenti,lavoratori e pensionati stufi di essere rappresentato da un governo che usa le tasse dei cittadini per ancorarsi alle cadreghe; c'erano tante bandiere tricolori che garrivano il vento e illuminavano la città. Che il popolo delle Destre fosse pacifico e civile se ne sono resi conto persino i commercianti che non hanno chiuso i loro negozi. Evidentemente perchè non temevano che noglobal scatenati entrassero per fare espropri proletari o per spaccare vetrine. Non ci sono state bandiere bruciate, nè cori infami: c'è stata grande partecipazione e basta, una partecipazione trasversale e convinta: c'era forse il grande imprenditore, ma c'era sicuramente tanti operai. Un menzione particolare merita la Fiamma Tricolore la cui partecipazione ha fatto tanto inorridire Santoro: il loro corteo è stato il più bello e ordinato. Non si è visto un saluto romano o una voce scomposta per non dare credito a detrattori, ma si sono viste tante bandiere e un popolo fiero e entusiasta.

2) Corrado Augias è noto per aver introdotto la moviola nelle trasmissioni rai: nel senso che parla così lentamente che, mentre finisce una frase, la terra ha già compiuto una rotazione completa. Detesta tutto ciò che è tradizione, religione, spiritualità e non perde occasione per manifestarlo. Se si possiede...gaiezza manifesta, si propugna l'amore libero o si scrive qualche libercolo sui pacs, prima o poi nel suo programma qualche menzione d'onore lo riceverete, si scriverà un panegirico e partirà una predica contro i nemici della ragione. Non più di una settimana fa ha invitato l'autore di un libro contro l'Opus Dei (non ricordo nè l'autore, nè il titolo dell'opera...ma non ho fatto fatica a trovarlo esposto in tutte le librerie) e non ha perso occasione per ribadire che l'Opera è una loggia massonica e i numerari subiscono giorno pressioni psicologiche e torture fisiche di ogni sorta. Augias non ci ha visto più quando ha letto che su Marx c'è da parte dell'Opera un giudizio negativo, sostenendo che Marx è alla base della nostra civiltà e va letto, ma soprattutto capito. Per Augias, insomma, chi non adora il vangelo di Marx è un tontolone e un oscurantista...oltre che un massone!

3) Serena Dandini è stata sopportabile finchè si è circondata di Neri Marcorè, Corrado Guzzani, Ficarra e Picone: comici obbligatoriamente sì di sinistra, ma almeno di un certo livello. Da quando si è ricondata dello gnomo Vergassola e si sforza, come ogni ex sessantottina amante dei salotti radical-chick,di essere impegnata, è diventata indigeribile. I suoi ospiti sono di solito del calibro di Fiorella Mannoia e sinceramente annoia la mannoia. Non si perde occasione per incensare la sinistra dura e pura, la base, non si perde occasione per attaccare l'opposizione, colpevole di esistere.

Capite bene, dunque, che è difficile parlare di tv di Stato su questi presupposti e con questi divetti che hanno una visione militante in ogni cosa che fanno.La Commissione di vigilanza della Rai, presieduta da Mario Landolfi (AN), dorme; e noi in Italia continuamo ad avere una situazione anomala: laddove l'anomalia non è nel fatto - come sostengono Santoro, Augias e la Dandini - che Berlusconi ha tutte le reti televisive, ma è che in Italia si attacchi SOLO l'opposizione, basta che sia di centrodestra. Insomma, se non si ha regime quando si cerca di distruggere l'opposizione, quando?

Friday, December 08, 2006

















I comandamenti del Male Assoluto
Il decalogo della scuola di Mistica Fascista. Una bussola per trovare la rotta.

1 Non vi sono privilegi, se non quello di compiere per primi la fatica e il dovere.

2 Accettare tutte le responsabilità, comprendere tutti gli eroismi, sentire come giovani italiani e fascisti la poesia maschia dell’avventura e del pericolo.

3 Essere intransigenti, domenicani. Fermi al proprio posto di dovere e di lavoro, qualunque esso sia. Ugualmente capaci di comandare e di ubbidire.

4 Abbiamo un testimonio da cui nessun segreto potrà mai liberarci: il testimonio della nostra coscienza. Deve essere il più severo, il più inesorabile dei nostri giudici.

5 Aver fede, credere fermamente nella virtù del dovere compiuto, negare lo scetticismo, voler il bene e operarlo in silenzio.

6 Non dimenticare che la ricchezza è soltanto un mezzo, necessario sì, ma non sufficiente a creare da solo una vera civiltà, qualora non si affermino quegli alti ideali che sono essenza e ragione profonda della vita umana.

7 Non indulgere al mal costume delle piccole transazioni e delle avide lotte per arrivare. Considerarsi soldati pronti all’appello, ma in nessun caso arrivisti e vanitosi.

8 Accostarsi agli umili con intelletto d’amore, fare opera continua per elevarli a una sempre più alta visione morale della vita. Ma per ottenere questo occorre dare l’esempio della probità.

9 Agire su se stessi, sul proprio animo prima di predicare agli altri. Le opere e i fatti sono più eloquenti dei discorsi.

10 Sdegnare le vicende mediocri, non cadere mai nella volgarità, credere fermamente nel bene. Avere vicina sempre la verità e come confidente la bontà generosa.