Thursday, October 25, 2007

«Tradizione e destra, al di là di ogni ragionevole dubbio».
Antonio Rastrelli, l'ultimo (vero) governatore della Campania, ha compiuto 80 anni. Dopo di lui, la Destra in Campania è morta.

NAPOLI — «Come festeggia i suoi ottant’anni?». «Leggendo l’ultimo libro di Fini». «Gianfranco?». «No, Massimo. Il giornalista. “Soria di una vecchiaia”…». L’altro Fini, il presidente di Alleanza nazionale di passaggio a Napoli, l’ha chiamato ieri al telefono per fargli gli auguri. «Una telefonata piena di rispetto reciproco», ma come può esserla quella tra due personalità che in comune hanno ormai solo le radici. Antonio Rastrelli, una vita nell’Msi e un percorso da eretico «istituzionale» in Alleanza nazionale, per i suoi primi 80 si regala infatti una nuova avventura politica: lascia il partito di Fini per aderire alla Destra di Storace. «An è diventata afascista dopo Fiuggi, alla mia età e con la mia storia non potevo stare ad aspettare che diventasse addirittura antifascista»; eppure ieri sera al circolo Posillipo è stata proprio An a dedicargli una festa, insieme di compleanno, di festoso addio e di nuovo inizio: «Ovviamente a salutarmi non c’era l’intero partito, ma solo l’anima storica ». Sarebbe? «Ho selezionato gli uomini che mi sono stati più vicini durante l’esperienza della presidenza della Regione, con cui raggiunsi l’apice della mia soddisfazione politica. E innanzitutto Marcello Taglialatela, che all’epoca i giornali definivano il mio “delfino”». Nessuna concessione, invece, all’ala post-ideologica, a quelli che con una punta di malcelato disgusto Rastrelli definisce «i nemici giurati del mio mondo», ad esempio? Rastelli non si fa pregare, ed elenca la sua personale banda dei tre: «Nespoli, Viespoli, Bocchino, l’anima della politica moderna». I tecnocrati che hanno tagliato le radici con il passato, quel passato su cui invece Rastrelli vuole che si faccia luce al di là di convenienze transeunti: «Io ho chiesto a Storace una sola cosa: che si adoperi affinché il parlamento vari un’iniziativa per affrontare una questione decisiva come quella del revisionismo. Il fascismo e ciò che ne conseguì dopo la guerra e la Resistenza va affrontato: ma senza darne l’esclusiva ai libri di Pansa e ai programmi di Rai3. Si chiamino gli storici, i discepoli di studiosi come Augusto Del Noce e Renzo de Felice, a esaminare scientificamente il fenomeno, a inquadrarne le caratteristiche. Invece An è interessata ad altri giochi, col risultato che dal ‘95 a oggi si è perso un milione di voti: paradossalmente, contava più l’Msi quando era isolato all’opposizione che An oggi perfettamente integrata». Ma, al di là delle scelte ideologiche, Rastrelli ce l’ha ancora con i «conservatori illuminati » del suo schieramento che, nel ‘93, gli impedirono («come pure Almirante aveva programmato ») di candidarsi a sindaco di Napoli: «Mi dissero che di lì a poco ci sarebbe stato il G8, e che il cognome di Alessandra Mussolini avrebbe avuto rinomanza mondiale». Non andò così, e Rastrelli è ancora convinto che se avesse avuto quella chance la storia di Napoli sarebbe stata un’altra. «Comunque, mi presi poco dopo la rivincita con l’elezione a governatore; era ancora in corso il terremoto di Mani pulite, e tutti i politici si riparavano timorosamente dietro i nomi della cosiddetta società civile. L’unico a rivendicare il ruolo della politica fui io, e vinsi anche questa partita in autonomia, svincolato dai partiti ». Vittoria di Pirro: il ribaltone lo disarcionò, «e grazie a Mastella non riuscii a completare il mandato ». Poi l’astro di Bassolino prese a splendere anche su Palazzo Santa Lucia: però ora che la gestione dei rifiuti rischia di travolgerlo, la linea di difesa scarica tutto sul predecessore. Lei, Rastrelli. Possiamo dire che quel disastro è cominciato con il suo piano e con l’ingresso della Fibe? «Niente affatto, perché se qualcuno avesse avuto l’accortezza di andarsi a leggere il bando, si sarebbe accorto che ci fu il concorso di sei o a che sette aziende per ogni inceneritore, e che il mio piano prevedeva che lo Stato non avrebbe sborsato neppure una lira. Io mi limitai a prendere atto dell’esito della gara». Scusi, ma perché in questi anni non l’ha mai detto? «Perché nessuno, nemmeno i magistrati, me l’hanno chiesto. Otto anni di silenzio, che non ho rotto neppure quando è uscito un libro che ho molto apprezzato, “L’altra metà della storia” di Marco Demarco. «Chissà quante avrebbe avuto voglia di dirne su Bassolino, l’ex comunista che alle Regionali aveva battuto il fascista, ex ma non troppo… «Un momento. Io con Bassolino ho avuto un ottimo rapporto, soprattutto quando lui era sindaco e io governatore. E il 15 ottobre scorso, che è la vera data del mio compleanno, la prima telefonata è stata la sua». Vista la reciproca stima, magari ha voglia di dargli un consiglio su come affrontare il difficile momento. «Il consiglio è quello di abbandonare la Campania, prima che sia politicamente troppo tardi. Al di là di colpe o responsabilità, lui e la Iervolino non ce la fanno più. Agli occhi del cittadino il laboratorio Campania ha dato un pessimo prodotto, bisogna passare a nuove formule ». Ci dica la sua. «Tradizione e destra, al di là di ogni ragionevole dubbio».

Antonio Fiore

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