Wednesday, August 22, 2007

Caro Prodi, la Calabria è già morta da tempo.
Viaggio nella mia Crotone: mafia, disoccupazione e clientelismo.
Il regolamento di conti di Duisburg, se non altro, ha avuto il grande merito di far parlare i mass-media della Calabria. La Mafia, pur ignorata, si è potuta finalmente esibire su un palcoscenico internazionale, sapendosi imporre come il prodotto italiano più e meglio esportato all'estero. The home made mafia ha ancora un vasto target e il mondo politico, l'ambiente che la rinnova, dovrebbe prenderne atto con più audaci finanziamenti. Quando si va in un negozio all'estero, per evitare la fila ed essere trattato meglio, basta dire di essere from Sicily, terra che rievoca un prodotto che apre tutte le porte (provate per credere). La 'Ndrangheta, purtroppo, invece, non è pubblicizzata a dovere e, infatti, non si identifica appieno con la nostra nazione, benchè la sua natura sia totalitaria al pari delle altre organizzazioni criminali radicate sul territorio.

La faida di San Luca, se non altro, ha avuto il grande merito di rilanciare il prodotto italiota sul mercato e di rappresentare al meglio il rispetto per la tradizione che si nutre in Calabria. La faida è iniziata per uno sgarro di cui le nuove generazioni non hanno memoria, eppure ci si continua a sparare: una dimostrazione emblematica di attaccamento alle proprie radici. Cari lettori, avrete sicuramente visto le immagi di San Luca in tv: un paesiello arroccato nell'Aspromonte con case sgarrupate, strade non asfaltate, abitanti che sembravano usciti dal secolo scorso. Verosimilmente, come in molti centri abitati della Calabria, poco più di trent'anni fa, non si indossavano nemmeno le scarpe. I paesielli della Calabria, in questo senso, per arretratezza si somigliano tutti: pochi giovani, tanti anziani che passano le giornate giocando nella piazza principale a carte, donne che vestono ancora come un secolo fa, il boss - al cui passaggio tutti si tolgono il cappello - e pochi notabili, gli unici esentati dall'ossequio al boss (il medico e farmacista del paese, l'avvocato, il notaio).

Mio nonno apparteneva ad una famiglia di notabili di Cutro, centro del Crotonese: a 14 anni lasciò la Calabria per andare a studiare in un collegio della Campania e laurearsi in medicina a Napoli. Rimase, tuttavia, sempre legato alla sua terra e alla sua famiglia; vi tornava ogni mese per un giro di visite e persino, quando era tempo di elezioni, per impedire l'affermazione dei comunisti. Mio nonno è stato un mito; pertanto, benchè conosca poco la terra dei miei padri, non dimentico le mie origini per metà crotonesi. Sono stato due volte in quella terra: la prima volta la lasciai speranzoso, la seconda capì che per Cariddi il coma è irreversibile.

Già la strada che si percorre per arrivarci, la Salerno-Reggio (un percorso ad ostacoli più che un autostrada) lascia presagire il peggio. L'uscita di Sibari è il preludio ad uno scenario apocalittico, laddove l'uomo è riuscito ad erigere tutto ciò che di più brutto è immaginabile. L'edilizia abusiva, almeno sulla costa ionica, la fa da padrona e la strada è intervallata da brutture in cemento mostruose. C'è l'opera pubblica appaltata agli amici degli amici e mai utilizzata, c'è l'abitazione, ci sono le villette a schiera per i villeggianti in mezzo ad una campagna. Uno scenario non comprensibile per chi non l'ha visto con i suoi occhi. Il mattone in Calabria non ha mercato, costando un appartamento 1/200 euro al m2,così il malavitoso locale la speculazione edilizia non la come un immobiliarista di città che acquista immobili in blocco tenendoli vuoti per far salire i prezzi, ma preferisce costruirsi direttamente il proprio bunker. Tanto in Calabria lo spazio è l'unica cosa che non manca e da Sibari fino Cirò marina l'indignazone è unica.

Arrivati a Crotone il paesaggio cambia, essendo caratterizzato dalle fabbriche ormai dismesse - che ricordano alla città di essere stata il primo(!!) polo industriale calabrese - e un porto animato da pescherecci. La città di Pitagora conserva poco dell'antica Kroton e della sua nobile storia e, tuttavia, nonostante la politica politicata, è rimasta una bella cittadina sullo Ionio: ha un bel lungomare, un bel duomo, un bel centro storico, i bei resti del castello di Carlo V, il castello di isola Capo Rizzuto e i resti archeologici di Capocolonna. Per il resto, l'edilizia - come ovunque in Calabria - lascia assai a desiderare.

I miei parenti mi hanno spiegato che è difficile capire quanti abitanti abbia realmente Crotone, perché l'emigrazione giovanile è costantemente in crescita e non può essere quantificata. Per le statistiche demografiche sono 60.000, in realtà la cittadina si ripopola davvero solo in estate, quando ai giovani in trasferta forzata
scade il co.co.co. La disoccupazione giovanile a Crotone supera il 30% e per lavorare, spesso, bisogna ricorrere all'aiuto del padrino politico.
Quando sono andato a Crotone era tempo di elezioni e ho potuto vivere sulla mia pelle il significato più autentico di voto di scambio. Tutta la campagna elettorale è stata impostata sulla disoccupazione e persino le liste
sono riempite in questa funzione. In un comune, dove in teoria ci sono sessantamila abitanti, gli aventi diritti al voto sono quarantamila scarsi e in concreto a votare
ci va solo la metà, i candidati erano più di OTTOCENTO. Un numero non raggiunto nemmeno dalle tre metropoli italiane. Lo si fa per riempire le liste e lo si fa, promettendo a chi si candida per quella famiglia (soprattutto giovani!), un'occupazione. Di solito non si tratta che di una vana promessa ( nella speranza, uno si butta, nun se po' mai sapè...), ma capite bene che - in questo modo - il voto d'opinione (senza considerare le pressioni esterne della malapolitica) viene meno.
Si vota il candidato della famiglia e,così facendo, si riesce anche a calcolare facilmente quanti voti si possono ottenere e a capire, attraverso la sezione in cui uno è iscritto, il voto di chi viene meno. A Crotone la seconda repubblica non è mai arrivata, ci si divide ancora tra democristiani, socialisti e comunisti. Nel 2001, per la prima - dopo praticamente quaranta anni - vinse per la prima volta il centrodestra, ma anche questa ammistrazione si lasciò attrarre dalla marmellata e l'ex sindaco fu coinvolto in uno scandalo di tangenti e corruzione. Roba che non scompone in Calabria, da quelle parti è impossibile fare politica e non essere coinvolti, anche perché ci sono forze maggiori a cui rendere conto. L'elettorato, però, alle scorse elezioni non volle perdonare e, infatti, l'amministrazione tornò a sinistra con un secco 81% a 19%, forse lo ricorderete, perchè si è trattata della vittoria più schiacciante in Italia degli ultimi 10 anni. Un plebiscito che neanche l'Emilia o la Toscana ha mai visto.
Crotone si trova formalmente in Italia, ma la situazione è simile a quella della Albania, forse peggiore, perchè la situazione così come è attualmente, se si continua a perseverare sulla medesima frequenza, non potrà mai migliorare. Perciò fa ridere l'appello di Prodi ai giovani calabresi per il riscatto della loro terra. Ai giovani calabresi per sopravvivere non resta altro che emigrare per sfuggire ad una sorte infelice tra stenti, criminalità, disoccupazione e pressione dei potenti. Tanto più che la situazione di Crotone è assai migliore rispetto a centri come Lametia Terme o l'Aspromonte, perchè da quelle parti; se sbagli a parlare, la pallottola te la prendi in fronte nella piazza centrale del paese, di modo che tutti possano imparare come ci si comporta.

La massima di un mio zio è in questo senso sintesi emblematica: è meglio fare il clandestino al Nord piuttosto che il professionista in Calabria.

Ernest Hemingway sosteneva che il mondo fosse un bel posto e valesse la pena lottare per esso. Ne condivido la seconda parte.

p.s. Mio nonno, che ha sempre votato per la DC, negli ultimi anni ha ripescato nella cantina un busto in bronzo del Duce. Busto che oggi io conservo gelosamente nella mia stanza. Se Mussolini fosse riuscito a durare un altro ventennio, oggi la Calabria vivrebbe un'altra realtà. Stavolta non possiamo manco prendercela con i Piemontesi; per i Borboni esisteva solo la Campania e la Sicilia, il resto era solo uva da pigiare.

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