Sunday, February 03, 2008

MALEDETTO SESSANTOTTO!
Il funambolico Gianfranzo, ieri, ad un convegno al quale ha partecipato anche Aznar - mica bau bau micio micio! - è riuscito a dire che il '68, tutto sommato, non fu portatore di disvalori. Fa specie che proprio chi imita Sarkozy in tutto e per tutto - anche nell'accoppiarsi con modelle di facili costumi - stavolta non l'abbia seguito su questo tema. Di Gianfranzo ormai non ci sorprende più nulla. Di seguito è riportata l'intervista a Veneziani sul tema e sul suo ultimo libro "ROVESCIARE IL '68".
Da " Il Messaggero"

di ROBERTO GERVASO


È L’INTELLETTUALE più lucido, fantasioso, appassionato della Destra. Una Destra vista come fumo negli occhi da un’altra Destra, che si vergogna di essere tale perché senza fede, senza identità, senza memoria. In un’Italia meno giacobina e meno settaria, o meno cinica e pusillanime, Marcello Veneziani si sarebbe cucito sul petto ben altri galloni. Il suo ultimo, concettoso, coraggioso saggio “Rovesciare il ‘68” (Mondadori), è un ennesimo dispiacere che l’autore dà a coloro che, invece di fargli un monumento, gli scaverebbero volentieri la fossa. Quei baroni e baronetti di una Destra che non vuole paladini, ma solo maggiordomi, cortigiani, rinnegati.

Cos’è stato il Sessantotto?
Non è stato un evento, ma un clima; non è stato un anno speciale carico di avvenimenti, ma un virus incubato prima e trascinato dopo, nostri giorni inclusi.
Cosa voleva?
Cambiare tutto, abolire la realtà e far coincidere il desiderio con la vita. Voleva sprigionare la libertà e le pulsioni e ricominciare da zero. I sessantottini sognavano di essere autonomi e, invece, si sono svegliati automi.
Cioè?
Schiavi della tecnica e dell’economia, dei loro imperativi e delle loro procedure.
I suoi più venerabili profeti?
Un caterva, fra veri e presunti.
Chi?
Innanzitutto, Mao, Marcuse, Guy Debord.
I suoi buoni maestri?
Jack Kerouac e i poeti della beat generation. Un gran pezzo di Nietzsche. Qualcosa di James Dean e della gioventù bruciata.
I suoi cattivi maestri?
Troppi. Sartre o il sullodato Marcuse. Ivan Illich e Lacan, Reich e una folla di maestrini nostrani che ripetevano in piccolo, e in peggio, gli errori dei maestri.
E i cattivi maestri in buona fede?
Don Milani, Basaglia, Pannella.
I suoi complici?
La borghesia radical-chic che fece allora i suoi primi passi, liquidando la vecchia e un po’ trombona borghesia cristiano-moralista, ma che aveva senso del decoro, responsabilità del ruolo, senso del dovere.
I suoi beneficati?
I peggiori e gli sfaticati. Figli della demeritocrazia, della selezione alla rovescia. Non solo...
Che altro?
Ha avvantaggiato i suoi sacerdoti e sacrestani andati al potere. Quante nullità frizzanti sono salite in cattedra, prive di sostanza, ma con le bollicine del ‘68.
I suoi profittatori?
Per un anno di servizio sulle barricate del ‘68 molti hanno avuto quarant’anni d’indennità. Il ‘68 è stata una card per accedere ai posti di comando. Come le tessere Alitalia, per entrare nelle sale dei vip.
Freccia Alata?
Nel loro caso, Feccia Alata
Le sue vittime?
Le vittime del ‘68 sono di tre tipi.
Il primo?
Quelle, nel vero senso della parola: dall’agente Annarumma al commissario Calabresi, ai giovani di destra e alle tante vittime degli anni di piombo e del partito armato, che deriva dall’ala estremista del ‘68 e dell’autunno caldo.
Poi?
Quei docenti e padri, borghesi e imprenditori che si trovarono a scontare gli effetti della demagogia e dell’irrisione.
Infine?
Le vittime indirette, quelle che non vissero il ‘68, ma ne scontarono gli effetti postumi di una società ridotta a brandelli, con scuola e università, famiglia e istituzioni diventate un colabrodo.
Cos’ha fatto di commendevole il ‘68?
Ha valorizzato la libera creatività e ha avuto più attenzione per le donne e per gli svantaggiati. Ma il meglio il ‘68 lo ha fatto ad Est.
Come?
Combattendo contro i carri armati. Darei il maggio francese e il quarantennio sessantottardo italiano per la primavera di Praga. Cederei Capanna e il Movimento studentesco in confezione intera, barbe incluse, per Jan Palach.
E cos’ha fatto il ’68 di riprovevole?
Ha tagliato le radici, gli alberi e i rami su cui eravamo tutti seduti.
Con la conseguenza?
Che siamo precipitati in quella specie di deserto benestante che è il nostro tempo.
I suoi peggiori guasti?
Di tipo civile più che politico.
Perché?
Perché, politicamente, non rovesciò nessun potere e, neanche sul piano economico, rovesciò il capitalismo o la società dei consumi.
E sul piano dei rapporti fra le generazioni?
Su questo e su quelli dell’educazione e del linguaggio, del rispetto reciproco e del lavoro, ha fatto devastazioni ancora fumanti.
Il suo più calamitoso retaggio?
Il parricidio, ovvero la voglia di liberarsi del padre. E l’intolleranza permissiva, che è il rovescio di quel che il ‘68 voleva combattere e che Marcuse chiamava la tolleranza repressiva.
Cosa prescrive l’intolleranza permissiva?
Che è vietato vietare, tutto è permesso, non ci sono limiti.
E per chi non si riconosce in questo codice ideologico?
Sono dolori. Non ha spazio né diritto di parola.
Perché, in America, il ‘68 è durato pochi anni; in Francia, pochi mesi; da noi è sempre attuale?
Perché da noi è diventato un mestiere, si è ibridato con un sistema di potere, quello del partito comunista e della sinistra sfusa, in un primo tempo ostile al ‘68, creando una vera e propria egemonia culturale.
In altre parole, si è eternizzato. Come si addice al Paese di Santa Madre Chiesa, riconoscendo diversi pontefici e cardinali.
I più corrivi e colpevoli?
I moderati vigliacchetti che lo hanno assecondato, gli hanno aperto le porte e i portoni del potere, lo hanno legittimato per sopravvivere, lo hanno cooptato per corromperlo, assumendone perfino le sembianze.
E chi sono?
Baroni universitari, editori, direttori, imprenditori, politici, democristiani inclusi.
Le responsabilità della Chiesa?
Dimenticavo i preti, qualche vescovo. Il Concilio Vaticano II è stato, forse, il battesimo religioso della Contestazione, il prologo in cielo delle uova marce in terra.
E chi ha fatto il resto?
I teologi della liberazione e della morte di Dio, i preti operai e canterini, i sacerdoti del collettivo democratico.
Con che faccia i contestatori “progressisti” di ieri sono diventati i bardi al servizio dei padroni-affamatori e liberticidi a suo tempo contestati?Per loro, la verità non esiste, ma esiste solo il soggetto. Di conseguenza, il vero e il falso dipendono esclusivamente dal punto di vista.
Se sono fuori dal Palazzo?
Dicono che è da abbatterlo.
Se sono dentro?
Dicono di chiudere la porta e fortificarlo. Sono egocentrici e la verità è misurata solo dalla propria convenienza.
Le più spudorate conversioni?
Preferisco dare alcuni titoli di film: Dalle molotov a Palazzo Chigi, da Potere operaio al Potere della sera, da Servire il popolo a Servire l’audience, da Lotta continua a Lobby continua, da Autonomia Operaia ad Astronomia Operaia, dal Manifesto al Manichino.
Altri apostati?
Preferisco restare sulle tipologie.
Sentiamo.
Ci sono quelli passati a destra; quelli rifluiti nel potere sovrastante e apparentemente neutro dell’economia, della scienza e dell’editoria; e quelli, che pur restando a sinistra, sono oggi repressori di lavavetri e poveracci. Ultima traccia di ‘68, le contestazioni al Papa all’università. Alle 67 firme di docenti ne mancava solo una per fare 68.
Cosa resta del Sessantotto?
L’enorme spazzatura che trabocca sulle strade del nostro futuro; resta una famiglia ridotta a poltiglia; una scuola che sembra un suk con zona fumatori; una società di solitudini ringhiose, le une contro le altre armate.
A quando la sua definitiva archiviazione?
Dopo quarant’anni di servizio le persone vanno in pensione. Dopo quarant’anni di disservizio sarebbe ora di mandare in pensione il ‘68. Ma non si tratta solo di archiviare i sessantottini diventati sessantottenni.
Di che cos’altro si tratta?
Di archiviare una cultura, una mentalità, di debellare un virus, come hanno ben capito Sarkozy e papa Ratzinger.
Chi ha portato l’Italia alla deriva?
È stato un concerto di classi dominanti che non hanno saputo essere classi dirigenti.
Chi?
Chi l’ha governata, chi l’ha rappresentata mediaticamente, chi l’ha guidata culturalmente, chi l’ha spinta sul baratro della società a irresponsabilità illimitata.
Chi potrebbe provocarne il naufragio?
Gli stessi che l’hanno portata alla deriva. Più i loro fragili epigoni.
Potrebbe salvarla un San Gennaro o un Masaniello?
Ormai, solo un dio ci può salvare, vorrei dire con Heidegger. E penso che, alla fine, lo farà.
Servendosi di chi?
Di qualche san Gennaro, un po’ meno di qualche Masaniello, ma, forse, ancora di più, di quella larga e profonda Italia che non si riconosce in quel codice d’accesso al potere che è il ‘68.
Cosa resta di Prodi?
Prodi, purtroppo, non è materiale biodegradabile.
Quindi?
Ho l’impressione che il suo gommoso sembiante riciccerà da qualche parte. Ma credo che, con Palazzo Chigi, abbia, ormai, definitivamente chiuso.
Cosa resta del suo esecutivo?
Lo sfratto.
E cosa resta di Pecoraro Scanio?
È l’esempio di come i verdi nuocciano all’ambiente più del catrame.
Cioè?
Una persona sana ha i polmoni verdi e la materia grigia.
E un verde?
Ha spesso gli organi invertiti.

Cosa faresti al posto di Bassolino?

Proverei a vendere le pizze, lasciando la politica. Se non è riuscito con gli inceneritori, provi col forno a legna.
In Rosa Russo Jervolino c’è più la tempra di Caterina Sforza o della Thatcher?
Di nessuna delle due.
Cosa le consiglieresti?

Il silenzio. Anche perché, con la sua voce, produce un forte inquinamento acustico. Per i napoletani è troppo.


Compreresti un barattolo di Nutella da Veltroni?
Sì, ma solo quello.
E se cercasse di venderti un programma di governo o un progetto di città?
Chiamerei i vigili urbani. È stato il sindaco della ricreazione. Ora ci vuole qualcuno che pensi al resto. L’intervallo sta per finire.
E acquisteresti una canottiera da Calderoli?
Noi terroni calorosi non le usiamo. Comunque, dopo l’esperienza del governo Prodi, persino Calderoli sembra uno statista.
Affacciato al balcone di Palazzo Venezia cosa diresti agli italiani?
“Non si può respirare: troppo inquinamento”. Poi, ricordandomi del precedente inquilino, aggiungerei…
Cosa?
“Anziché l’impero, mi accontenterei di una decente democrazia. E, anziché Vincere, mi accontenterei di pareggiare”.

2 comments:

Anonymous said...

Standing ovation.
Mi fan godere 'ste cose da leggere. :-)

Anonymous said...

Fini negli anni 70 stava con i legalitari, non certo con i contestatori che pure a destra, soprattutto in quella extraparlamentare, c'erano. E' un ginnasta della politica contraddice sè stesso continuamente. Immenso Veneziani